Firma di Luigi Montieri in calce a una lettera.
Nato a Bologna il 12 maggio 1694, pochi giorni dopo fu battezzato nella cattedrale di San Pietro con il nome di Luigi Antonio Ottavio Benedetto. Suo padre, che portava il suo stesso nome, era giunto a Bologna da Parigi pochi anni prima e aveva aperto nel centro della città una bottega dove esercitava la professione di orologiaio. La famiglia Montier (italianizzato in Montieri) abitava in una casa in affitto lungo via San Mamolo, l’attuale via d’Azeglio, nei pressi della parrocchia oggi scomparsa di San Giacomo dei Carbonesi. Primo di quattro fratelli, Luigi decise fin da giovane di intraprendere la strada della vita di fede: compì gli studi religiosi presso il Seminario cittadino e diventò canonico della chiesa collegiata di San Michele dei Leprosetti in strada Maggiore. In seguito entrò a servizio, come segretario personale, del cardinale Giacomo Boncompagni che, fin dal 1690, era Arcivescovo di Bologna. Uomo di grande cultura e dai diversi interessi, Montieri lavorò anche come istitutore presso molte famiglie cittadine di rango senatorio.
Nel settembre del 1725, in seguito allo scandalo sollevato dal suo mazzo di tarocchini, sarà costretto a lasciare Bologna per raggiungere Roma dove, fin dal 1724, il cardinale Boncompagni si era trasferito stabilmente. Mentre si trovava nella Capitale, ricevette da papa Clemente XII il beneficio di Sant’Antonio di Padova, «un predio di semente corba quattro, con casino da padroni, casa da contadino, stalla, teggia, e pozzo, fuori di Porta Saragozza, nel comune di San Giuseppe». Montieri ne prese possesso soltanto nel 1731 quando, alla morte del Boncompagni, rientrò a Bologna e lo mantenne fino al 1758 quando lo cedette in affitto per 200 lire all’anno.
Personaggio poliedrico e attivissimo, fu in questo periodo che Montieri prese a dedicarsi con passione allo studio della storia e delle tradizioni cittadine.
Una volta tornato a Bologna, infatti, Montieri non ne partirà più, diventando dapprima cappellano della metropolitana di San Pietro, quindi esattore generale delle prigioni pontificie. Membro molto attivo della congregazione laicale di San Girolamo di Miramonte, era anche “sindaco” del Consorzio di porta Ravegnana, una sorta di società di mutuo soccorso tra i sacerdoti di quel quartiere.
Nel 1765, tre anni prima di morire, Montieri dettò al notaio Massimo Messié il proprio testamento: il lungo documento, composto di 38 carte manoscritte, definisce nei più minuziosi dettagli le sue precise volontà testamentarie. Poiché l’ultimo fratello rimastogli in vita si era fatto cappuccino, gli lasciava solo pochi oggetti personali, mentre tutto il denaro e gli altri beni mobili li donava alla confraternita di San Girolamo di Miramonte, che avrebbe poi dovuto gestirli.
Al contadino che lavorava nel suo podere del Meloncello affidava invece l’incarico di spazzare e ripulire, tutto il portico dal monte della Guardia fino a porta Saragozza, cinque o sei giorni prima dell’annuale discesa in città dell’immagine della Madonna di San Luca.
Forse ricordandosi del lavoro da artigiano svolto da suo padre ed essendosi lui stesso divertito a ideare delle macchine, stabilì «che ogni anno siano sborsate lire 20 a quello di qualunque condizione […] però della città e diocesi di Bologna, che avrà ritrovata qualche nuova invenzione, o ordegno spettante alla meccanica, oppure avrà per la prima volta introdotto un nuovo modello di qualche nuova macchina». L’eventuale invenzione doveva essere portata prima al “massaro” dell’Arte dei Fabbri, poi all’Istituto delle Scienze dove sarebbe stata premiata con una medaglia fatta appositamente coniare da Montieri stesso nel 1747; i soldi del premio, invece, sarebbero stati consegnati dalla compagnia di San Girolamo di Miramonte.
Montieri morirà a Bologna, nella casa dove aveva sempre abitato, il 28 febbraio 1768. Il funerale venne celebrato nella parrocchia di San Giacomo dei Carbonesi e il suo corpo seppellito nella chiesa del monastero delle clarisse del Corpus Domini.