Il recentissimo Museo Genus Bononiae di Palazzo Pepoli ha dedicato un'intera stanza, la 25, al ricordo di Giosue Carducci e alla ricostruzione di immagini e notizie della sua epoca.
Lei è vissuto in un'epoca davvero cruciale per l'Italia: il Risorgimento e la prima fase unitaria. Qual era la sua posizione politica?
Sono figlio di un carbonaro e, cresciuto, sono diventato un acceso giacobino,
un rivoluzionario: dichiaravo apertamente di volere la repubblica, parlavo
con violenza contro il re e questo in alcuni momenti mi fece addirittura
rischiare il posto. Durante gli anni decisivi del Risorgimento e poi immediatamente
dopo l'unità d'Italia, io prima soffrivo per non poter prendere parte
direttamente alla lotta, dato che avevo famiglia, e poi perché vedevo
traditi tanti ideali a me cari.
Tuttavia, dopo aver incontrato a Bologna i sovrani di casa Savoia, mi sono
ricreduto: forse l'Italia non era finita in cattive mani. Col passare del
tempo dovetti accantonare il mio ideale repubblicano, che è rimasto
sempre più confinato fra gli obbiettivi non realizzati nel Risorgimento.
Insomma, da acceso rivoluzionario ero diventato via via più vicino
alle posizioni della monarchia e quindi la mia poesia veniva apprezzata
anche dai tanti borghesi moderati.
Per questo sono stato molto criticato dai miei allievi, a tal punto da dovermi
difendere da essi, una volta, salendo anche sulla cattedra!
Ma i sovrani e la maggior parte degli Italiani mi onoravano e mi consideravano
il poeta per eccellenza della mia epoca, tanto che ho ricevuto la nomina
a senatore per decreto regio nel dicembre del 1890. Pensi: mi chiamavano
il vate dell'Italia unita!