Il tribunale del Torrone

Disegno di Domenico Ramponi, Castigo della tortura ossia della corda tratto da:
Giuseppe Guidicini, Vestiari, usi, costumi di Bologna cessati nell’anno 1796
[manoscritto cartaceo, secolo XIX (1818)]
Collocazione: ms. B. 2329

Nel 1506, con il passaggio definitivo di Bologna allo Stato della Chiesa, arrivò anche la radicale riforma del sistema giudiziario. Soppressi tutti i tribunali precedentemente esistenti, la gestione dei processi fu trasferita nelle mani di soli tre giudici scelti direttamente dal Legato pontificio: l’Uditore Generale, che si occupava delle cause civili; l’Uditore di Camera, per le cause riguardanti la finanza pubblica e il temutissimo Uditore del Torrone, per le cause penali.
L’evocativo nome di “Torrone” derivava dalla possente torre che ancora oggi si trova nell’angolo nord-occidentale del palazzo Comunale: le carceri rimasero presso il Torrone fino al 1830 quando saranno trasferite presso l’ex convento di San Giovanni in Monte dove rimarranno fino agli anni Ottanta del Novecento, quando sarà costruito il nuovo carcere extraurbano della Dozza.
Il magistrato a capo del tribunale del Torrone era chiamato “auditore” o “uditore”, ed era affiancato da un paio di “sotto-uditori”. Questi giudici erano coadiuvati dalla cancelleria criminale, costituita da un capo notaio e da altri notai, in numero variabile, ma non meno di otto, divisi in quattro uffici, detti “scabelli”. Giudici e notai erano, per legge, di origine forestiera, quindi non bolognesi.
A gestire il rispetto dell’ordine pubblico, a eseguire gli arresti o i sequestri, era un ufficiale, detto “bargello”, aiutato da una compagnia di soldati a piedi o a cavallo, i cosiddetti “birri” o “sbirri”.
Il processo penale era di tipo inquisitorio, per cui non si concludeva praticamente mai con l’assoluzione dell’imputato, ma – anche tramite il ricorso alla tortura – si cercava di arrivare a una sua confessione di colpevolezza. Gli imputati avevano diritto a difendersi, ma contro il giudizio del tribunale non era prevista la possibilità di un appello: solo il Legato, o addirittura il Papa, con un loro diretto intervento, potevano concedere la revisione del processo.