Durante i primi mesi della Repubblica Sociale Italiana la politica persecutoria verso gli ebrei registra una rapida e violenta accelerazione, che porterà dalla fase di privazione dei diritti alla fase finale, la privazione di tutti i beni, della libertà e infine della vita.
Nell’ambito di una nuova serie di provvedimenti contro i beni mobili e immobili degli ebrei, tra la fine del 1943 e l’inizio dell’anno successivo la Prefettura di Bologna procede al sequestro della biblioteca privata del professore Igino B. Supino, consegnandola al nuovo direttore dell’Archiginnasio, Lodovico Barbieri, che era subentrato il 1° maggio del 1943 ad Albano Sorbelli.
Valentina Supino, nipote del professore, descrive in un diario della sua infanzia la grande raccolta libraria del nonno:
Il ricordo del nonno Igino è uno dei più dolci della mia vita. […[ Lui mi portava nel suo studio, un’immensa stanza piena di libri ammonticchiati dappertutto: negli scaffali che coprivano interamente le pareti, sulle sedie e perfino per terra. […] Subito dopo la guerra, sono ritornata in questa casa e mi sono precipitata nello studio, pensando di ritrovarlo come era rimasto nella mia memoria, con i disegni sul tavolo e i libri negli scaffali: davanti a me non c’era che uno stanzone vuoto. I tedeschi avevano portato via tutto.
(Valentina Supino, Il nome delle serpi, p. 13 e 15).
In realtà il saccheggio della casa era stato messo in atto da italiani, sulla base di leggi scritte da italiani.
Igino B. Supino (1858-1940) tenne la cattedra di Storia dell’arte medievale e moderna dell’Università di Bologna, la prima istituita in Italia, dal 1907 al 1933, quando gli succederà Roberto Longhi. I provvedimenti antiebraici della fine del 1938 lo priveranno del titolo di Professore Onorario. Ironia della sorte, solo un anno prima Supino era stato nominato deputato emerito della R. Deputazione di storia patria per l’Emilia e la Romagna, con il medesimo provvedimento (R. D. 15 aprile 1937) con cui Sorbelli era stato nominato membro della stessa Deputazione. Nella parte di questo lavoro dedicata al censimento degli ebrei nelle accademie, abbiamo già seguito le vicende di Supino, espulso sistematicamente da tutte le istituzioni culturali di cui era membro.
La vasta biblioteca di Supino era importante non solo per la storia dell’arte in generale, ma anche per le vicende artistiche e architettoniche bolognesi, che il professore aveva ampiamente indagato in numerose e fondamentali pubblicazioni.
Dopo varie vicissitudini, i libri sequestrati verranno riconsegnati nel 1947 a Giulio Supino (1898-1978), figlio di Igino, che a sua volta nel 1938 era stato espulso dall’Università, sulla base del R.d.l. 5 settembre 1938, n. 1390, fortemente voluto dal ministro Bottai. I nomi di Igino e Giulio Supino erano presenti anche negli elenchi degli autori non graditi in Italia (cfr. Fabre, p. 480).
Le vicende di questa biblioteca sono note e raccontate nei passaggi fondamentali da Gian Paolo Brizzi (cfr. Igino Benvenuto Supino: il professore e la fototeca), ma vale certamente la pena approfondirne alcuni aspetti, anche per il carattere del tutto particolare che rivestono nell’ambito della storia delle biblioteche in epoca fascista. Infatti, se esistono già studi e ricerche sulla persecuzione dei bibliotecari ebrei, sull’applicazione delle leggi razziali all’interno delle biblioteche italiane e sulle vicende delle biblioteche delle Comunità ebraiche, meno noti sono i casi di sequestro di beni librari appartenuti a una famiglia ebraica a favore di una biblioteca pubblica.
Scrive Michele Sarfatti:
Il nuovo governo fascista intervenne nel campo dei beni culturali con vari provvedimenti. Il 24 novembre 1943 il Consiglio dei Ministri approvò un decreto legislativo del duce che disponeva la denuncia da parte dei possessori e il sequestro ad opera dei capi delle province (così ora si chiamavano i prefetti) dei beni artistici, archeologici, storici e bibliografici appartenenti “a persone di razza ebraica o ad istituzioni israelitiche”; in caso di mancata denuncia, i capi delle province dovevano procedere alla confisca e alla consegna dei beni al sopraintendente interessato. Anche se il 17 marzo 1944 la Presidenza del consiglio informò i ministri che il decreto legislativo – datato 2 marzo 1944 – era finalmente “in corso di pubblicazione”, esso non venne mai pubblicato sulla “Gazzetta ufficiale d’Italia” e pertanto non entrò mai in vigore. Ciononostante sin dal 1º dicembre 1943 il ministro dell’Educazione nazionale, che aveva proposto il decreto, ne diffuse le circolari attuative e molti uffici lo considerarono a tutti gli effetti vigente.
(Michele Sarfatti, Contro i libri e i documenti delle Comunità israelitiche italiane, 1938-1945).
Pochi giorni dopo la riunione del Consiglio dei Ministri incentrata sui beni culturali, viene diffuso l’ordine di Polizia n. 5 emanato dal Ministero dell’Interno il 30 novembre 1943 e inviato “a tutti i Capi delle Provincie libere” (i prefetti) in cui si dispone che tutti gli ebrei devono essere inviati in appositi campi di concentramento e tutti i loro beni, mobili ed immobili, debbono essere immediatamente sequestrati, in attesa della loro confisca “a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.” Il 4 gennaio 1944 viene emanato il decreto legislativo del Duce n. 2, Nuove disposizioni concernenti i beni posseduti dai cittadini di razza ebraica, con il quale si ordina ai Capi delle Province di procedere immediatamente con la confisca dei beni.
Un estratto di questo d.l.D. n. 2 entrato in vigore il 10 gennaio 1944 è conservato, non a caso, nell’archivio dell’Archiginnasio, a dimostrazione dell’interesse da parte della Direzione della biblioteca verso la possibilità di acquisire beni bibliografici appartenenti ad ebrei,
mentre nell’archivio della Soprintendenza bibliografica sono conservati i documenti, di seguito citati (si veda Pos. G, 1 Notificazione di importante interesse e requisizioni, fascicolo 3.1.1/392) che ci consentono di valutare gli effetti che questi provvedimenti ebbero sul nostro territorio.
Domenico Fava, soprintendente per le provincie di Bologna, Ancona, Ascoli, Forlì , Macerata, Pesaro e Ravenna e direttore della Biblioteca Universitaria, riceve una circolare raccomandata riservata datata 1° dicembre 1943, n. 665 proveniente dalla nuova Direzione generale delle arti del Ministero dell’Educazione nazionale, firmata dal nuovo ministro Carlo Alberto Biggini, con oggetto: Requisizione delle opere d’arte di proprietà ebraica.
Con questa circolare si dispone non solo il sequestro delle opere d’arte, ma anche di oggetti di particolare interesse bibliografico, da affidare ai soprintendenti bibliografici, i quali possono anche effettuare di propria iniziativa sopralluoghi per individuare i beni da sottoporre a sequestro. Fava risponde al Ministero il 6 dicembre, assicurando che si attiverà per individuare “raccolte librarie di pregio di proprietà ebraica”, in attesa delle autodenunce che gli stessi proprietari dei beni erano tenuti a presentare entro il 15 dicembre alla Soprintendenza.
Nel frattempo il Capo della Provincia, Guglielmo Montani, l’11 dicembre 1943 inoltra per conoscenza il contenuto della circolare del Ministero a vari enti e corpi dello Stato, tra cui i soprintendenti bibliografici. Fava risponde il 17 dicembre, assicurando di aver incaricato i soprintendenti bibliografici onorari delle sette province di sua competenza ad effettuare “pronte indagini circa l’esistenza di raccolte librarie di pregio di proprietà ebraica […].” In effetti presso l’archivio della Soprintendenza è conservata la minuta della lettera che Fava invia al direttore dell’Archiginnasio e ai direttori delle principali biblioteche di sua pertinenza, allo scopo di avere informazioni su raccolte librarie di pregio, o anche “d’incisioni, stampe, legature artistiche, in possesso di famiglie ebraiche.”
Nell’archivio della Soprintendenza è conservata anche la risposta di Albano Sorbelli, che non era più direttore dell’Archiginnasio ma che aveva mantenuto la direzione di Casa Carducci e ricopriva la carica di Ispettore bibliografico onorario sia per Bologna che per Pavullo nel Frignano e dunque era tra i bibliotecari a cui Fava aveva chiesto informazioni. Sorbelli fornisce una risposta negativa riferita al territorio del Frignano, che integra con una seconda risposta del 4 gennaio 1944, sollecitata da Fava, relativa alla Provincia di Bologna, in cui scrive:
Il prof. Supino aveva una ricca e bella biblioteca di opere attinenti all’arte, e specialmente alla storia dell’arte; ma non possedeva se non per eccezione cimeli.
Nell’archivio dell’Archiginnasio si conserva l’originale della lettera di Fava inviata a Lodovico Barbieri il 16 dicembre 1943, e la risposta di Barbieri sia nella bozza scritta dal responsabile della Segreteria Alberto Serra Zanetti direttamente sulla lettera di Fava, probabilmente su dettatura di Barbieri, sia copia battuta a macchina con dicitura Riservata datata 23 dicembre, in cui si legge:
Non mi risulta che vi siano collezioni di libri, incisioni, rilegature ecc. di particolare pregio in possesso di famiglie ebraiche qui residenti.
Nulla da segnalare per Barbieri, dunque. Ma una settimana prima, il 15 dicembre 1943, il nuovo direttore dell’Archiginnasio aveva inviato al Commissario prefettizio Mario Agnoli, poi nominato Podestà il 12 febbraio del 1944 e fino alla Liberazione di Bologna, una breve lettera di ben altro tenore:
In relazione al fermo e al sequestro della libreria del defunto prof. I. B. Supino, compio il dovere di comunicarvi che mi sono recato in Prefettura e in Questura, dove ho avuto assicurazione che a suo tempo, quando si procederà al fermo regolare della libreria, sarò avvertito. Occorre allora che il Comune svolga una pratica ufficiale, onde impedire che l’interessante ed utile materiale possa esser disperso e sistemato in altra sede.
La lettera originale, conservata presso l’Archivio storico del Comune di Bologna, viene vistata dal Commissario prefettizio, che la inoltra il 16 dicembre 1943 per competenza all’Ufficio di pubblica istruzione.
Barbieri sembra dunque fare una sorta di doppio gioco, negando la presenza di raccolte librarie importanti a Bologna quando già si era attivato a tutti i livelli (Commissario prefettizio, Capo della Provincia e Questore) per ottenere la consegna della libreria di Supino all’Archiginnasio.
Le ragioni di questo singolare comportamento di Barbieri sono chiaramente esplicitate in una lunga e dettagliata relazione inviata al Commissario prefettizio in data 29 dicembre 1943. Nel Registro del Protocollo della Biblioteca la pratica ha come oggetto:
Si propone al Comune di fare gli opportuni passi per assicurare al nostro Istituto la libreria del compianto prof. I B. Supino, soggetta a sequestro per il decreto contro le proprietà degli ebrei.
Il direttore dell’Archiginnasio scrive:
[…] compii il dovere di comunicarvi verbalmente che esisteva nella casa del defunto prof. J. [sic] B. Supino una libreria di particolare interesse per la storia civile ed artistica della nostra città e vi feci presente, in via riservata, l’opportunità di impedire una eventuale evasione del prezioso materiale, assicurandone il deposito al nostro Istituto, che costituisce il maggior centro di formazione e di diffusione degli studi locali.
Ed ancora, Barbieri richiede con forza il sostegno del Commissario prefettizio
[…] affinché un sì cospicuo ed importante materiale librario non vada disperso e venga destinato, invece, alla sua più adatta e vantaggiosa sede: l’Archiginnasio. Soltanto in questa Biblioteca […] il materiale può trovare una sistemazione intonata alla sua indole e varrà ad integrare le numerose collezioni similari, che insigni studiosi e cittadini, seguendo un’antica e nobile tradizione, hanno destinato in dono […] al nostro Istituto.
Nelle carte dell’archivio dell’Archiginnasio le tracce della biblioteca si perdono dopo questa relazione, e solo nell’ottobre del 1944 abbiamo la prova che l’impegno di Barbieri non è stato vano e che i libri di Supino sono in possesso della Biblioteca dell’Archiginnasio: il 17 ottobre 1944 Alberto Serra Zanetti scrive una drammatica lettera al Podestà Mario Agnoli, in cui lo informa del bombardamento dell’11 ottobre che ha colpito la palazzina della colonia di Casaglia dove era stato trasferito buona parte del materiale bibliografico più prezioso, con l’illusione che potesse essere al sicuro dai bombardamenti.
A Casaglia perde la vita anche il direttore della Biblioteca, Lodovico Barbieri.
Nella sua relazione Serra Zanetti elenca le principali raccolte che erano state trasportate a Casaglia, tra cui la libreria d’arte del prof. I. B. Supino.
Solo la pubblicazione integrale avvenuta nel 2014 del diario tenuto da Giulio Supino tra il luglio del 1939 e l’aprile del 1945 ci consente di aggiungere ulteriori precise e significative notizie sul sequestro della biblioteca del padre. Giulio Supino l’11 settembre del 1943 si era trasferito a Firenze con la moglie Camilla Benaim e la figlia Valentina, per sfuggire alla deportazione, mentre il fratello Emilio e la madre Valentina Finzi erano rimasti a Bologna, ospitate dall’amico Filippo D’Ajutolo. A partire dai primi mesi del 1942 Giulio Supino aveva iniziato a collaborare con il Partito d’Azione, svolgendo varie attività clandestine fino alla Liberazione, narrate nel suo diario che contiene anche la cronaca degli avvenimenti di cui fu testimone mentre viveva braccato e sotto falso nome nella Firenze occupata. Supino riporta nei suoi taccuini anche le poche notizie che gli arrivano da Bologna, dove ha dovuto abbandonare la sua abitazione di via Dante n. 32 e dove vivono in costante pericolo la madre e il fratello, notizie che gli vengono riferite da Domenico Vassura, esponente del P.R.I. (Partito repubblicano italiano), un ex ferroviere che svolge l’attività di libraio a Firenze (Ufficio bibliografico Domenico Vassura, via de’ Bardi 76 r.) e che si muove di frequente per lavoro tra Bologna e Firenze.
Scrive Supino in data 29 gennaio 1944, nello stesso giorno in cui fu bombardato l’Archiginnasio:
Notizie di casa. La biblioteca è già stata portata via. Ora inventariano i mobili. L’autore dell’idea è Guido Zucchini che se ne è vantato con Domenico alla libreria Zanichelli. Dice che l’ha fatto per sottrarla ai tedeschi! Ma intanto invece che darla all’Università l’ha consegnata all’Archiginnasio.
(Giulio Supino, Diario, p. 112).
Una parte del diario di Supino era già stata pubblicata nel 1984 sul periodico «Lettera ai compagni» (cfr. Giulio Supino, Il ‘44 e il ‘45), con alcune note esplicative dello stesso Supino. Nel brano sopra riportato del 29 gennaio 1944 in questa prima versione, più breve, si legge: “Il promotore [del sequestro dei libri], per la biblioteca, è stato Guido Zucchini.” Nella nota a commento della notizia riportata dal diario il 1° dicembre 1943, relativa ai nuovi provvedimenti di confisca riguardanti anche il materiale bibliografico posseduto da ebrei, Supino scrive:
Effettivamente la biblioteca di mio padre a Bologna è stata requisita e trasportata a Casaglia dove successivamente fu danneggiata da un bombardamento. Si deve a questo se la biblioteca dell’istituto di Storia dell’Arte I. B. Supino (cui fu regalata la Biblioteca di mio Padre) ha qualche manchevolezza. Per es. se manca il 2° volume della prima edizione delle «Vite» del Vasari.
Dunque i libri di Igino B. Supino vengono prelevati negli ultimi giorni di gennaio, poche settimane dopo le pressanti richieste di Lodovico Barbieri, e su suggerimento di Guido Zucchini (1882-1957), ingegnere, restauratore, storico d’arte e autore di numerose pubblicazioni di argomento storico-artistico, che certo ben conosceva l’importanza e il valore bibliografico della biblioteca di Igino B. Supino, con cui aveva rapporti di collaborazione e di cui era amico. La frase di Supino porta anche ad escludere la possibilità che vi fosse stato una specie di accordo clandestino con il direttore dell’Archiginnasio per evitare il rischio della dispersione dei libri. Guido Zucchini nel 1938 era stato nominato direttore del Civico museo d’arte industriale e galleria Davia Bargellini, sostituendo proprio Igino B. Supino che fu allontanato in quanto ebreo per decisione di Alfredo Leati, segretario federale dei Fasci di combattimento di Bologna e del podestà Cesare Colliva (si veda Massimo Ferretti, Igino Benvenuto Supino, p. 166 e Luca Ciancabilla, Guido Zucchini, una biografia, p. 225).
Nei giorni seguenti Giulio Supino ritorna a scrivere dei libri sequestrati, il 2 febbraio: “A casa hanno portato via tutti i libri, anche i miei. E gli opuscoli? E le lettere?” e il 21 febbraio: “La biblioteca del babbo è stata portata via senza essere imballata né con nessuna precauzione in un camion.”
Nel diario di Supino vi sono anche altri accenni alla biblioteca del padre, a riprova della preoccupazione per il suo destino, testimoniata anche dal già citato e puntuale riferimento ai provvedimenti relativi al sequestro di beni artistici in possesso di ebrei, come scrive il 29 novembre 1943, apprendendo la notizia dai giornali: “Sequestro opere d’arte degli ebrei. Nel provvedimento sono incluse le biblioteche.”
I documenti conservati nell’archivio dell’Archiginnasio e le testimonianze di Giulio Supino non ci consentono di ricostruire con ulteriori dettagli le fasi che portarono al sequestro della biblioteca, e sarà dunque necessario ampliare le ricerche ad altre fonti documentarie, ma sulla base di quanto disposto dalla circolare n. 665 del Ministero dell’Educazione nazionale del 1° dicembre 1943 riguardante la Requisizione delle opere d’arte di proprietà ebraica, si possono fare alcune ipotesi: la circolare prevedeva al punto 7) che gli oggetti non denunciati dai proprietari entro il 15 dicembre potevano essere confiscati per mezzo di un decreto del Capo della Provincia e gli oggetti, in questo caso le eventuali raccolte librarie, dovevano essere prese in consegna dai competenti soprintendenti bibliografici.
Nel caso della biblioteca di Supino, Barbieri deve essere riuscito ad ottenere, grazie anche alle pressioni del Commissario prefettizio, la consegna dei libri all’Archiginnasio. Forse quello che temeva e voleva evitare Barbieri, negando la presenza di raccolte librarie pregevoli in possesso di famiglie ebraiche a Bologna, era proprio che tale materiale fosse affidato al soprintendente Fava, e potesse confluire poi nelle raccolte della Biblioteca Universitaria, di cui Fava era direttore. Questa soluzione, sulla base di quanto scritto da Giulio Supino nel suo diario il 29 gennaio 1944, sarebbe stata comunque preferibile rispetto alla destinazione in Archiginnasio. D’altra parte Guido Zucchini, che pare abbia avuto l’idea di procedere al sequestro dei libri per evitarne il saccheggio, manteneva ottimi rapporti con l’amministrazione cittadina e con la Biblioteca comunale, come dimostrano i numerosi scritti pubblicati su «Il Comune di Bologna» e su «L’Archiginnasio».
Dopo il bombardamento di Casaglia dell’11 ottobre 1944 i libri di Supino vengono trasferiti in Archiginnasio e depositati temporaneamente nell’attuale Sala di lettura (Aula magna degli Artisti), come ci informa Serra Zanetti, nuovo direttore della Biblioteca, in una relazione del 15 maggio 1946 inviata all’Ufficio di pubblica istruzione, dopo che Giulio Supino aveva scritto al nuovo sindaco Giuseppe Dozza per chiedere la riconsegna dei libri del padre.
Serra Zanetti riassume nella relazione le vicende della biblioteca di Igino B. Supino e fornisce una nuova versione ufficiale dei motivi che spinsero Barbieri a chiederne l’assegnazione all’Archiginnasio, senza far alcun riferimento al ruolo di ideatore eventualmente svolto da Guido Zucchini:
La libreria del compianto prof. I. B. Supino […] fu sequestrata-per ordine della Prefettura di Bologna-verso la fine del 1943, in conseguenza della vile ed infame campagna antiebraica inscenata dai nazi-fascisti. Per impedire che l’importante raccolta […] andasse dispersa, il compianto dott. Lodovico Barbieri ottenne che la libreria fosse incamerata dalla Biblioteca dell’Archiginnasio. […] Dopo il disastro dell’11 ottobre 1944 provvidi io stesso a metterla in salvo ed a collocarla a parte nell’Aula Magna della Biblioteca dell’Archiginnasio, allo scopo di restituirla, a guerra finita, al legittimo proprietario. La libreria Supino non è stata assorbita nel patrimonio librario della Biblioteca dell’Archiginnasio, com’era stato stabilito all’atto della consegna, e non vi è stato apposto alcun segno d’appartenenza. Questa direzione ne ha curato soltanto la protezione e la conservazione.
Dunque se questa ricostruzione dei fatti è credibile, Barbieri e Serra Zanetti fecero il possibile per salvare la biblioteca di Supino dalla dispersione, spinti esclusivamente dalla loro professionalità abbinata alla indubbia passione per i libri e per la cultura che li animava. Se così fosse la loro azione avrebbe meritato di essere conosciuta maggiormente nel dopoguerra, come un vero e proprio atto di resistenza di grande valenza etica e culturale, ancora più apprezzabile se si pensa alla scarsezza di risorse dell’epoca, con le difficoltà logistiche che poteva comportare lo spostamento di una grande massa di volumi da una parte all’altra della città. Lo stesso Giulio Supino nella richiesta rivolta a Dozza di restituzione dei volumi, scrive che la biblioteca del padre fu “consegnata alla Biblioteca Comunale che ha provveduto a custodire i volumi”, mentre Serra Zanetti evidenzia che i libri di Supino non sono stati in alcun modo contrassegnati e inseriti nelle raccolte dell’Archiginnasio, in previsione della loro restituzione. Questa versione potrebbe essere confermata da due frasi che Giulio Supino scrive nel suo diario, il 24 febbraio e il 21 marzo del 1944:
Vedo Domenico che mi porta notizie da casa. Buone fino a un certo punto. I miei libri, con quelli del babbo.
[…] a casa stanno bene e Barbi manderà a prendere la mia biblioteca per depositarla insieme a quella del Babbo.
Dopo la rabbia e la preoccupazione espressa alla notizia del sequestro della biblioteca del padre, Giulio Supino sembra in parte rassegnato, anche se ancora dubbioso, all’idea che la soluzione del sequestro operato a beneficio dell’Archiginnasio possa essere il male minore rispetto ad un effettivo rischio di dispersione, e che anche i propri libri possano essere più al sicuro insieme a quelli del padre, sempre che Barbi stia per Lodovico Barbieri, il direttore dell’Archiginnasio. Nei suoi taccuini Supino indica spesso le persone con abbreviazioni del nome o del cognome, o con la sola lettera iniziale, allo scopo evidente di non renderle facilmente individuabili nel caso che il diario fosse caduto nelle mani della polizia.
Un documento conservato presso l’Archivio di Stato di Bologna sembra confermare che «Barbi» indichi Lodovico Barbieri e che sia imminente, alla fine di marzo del 1944, un altro prelievo di libri dalla casa dei Supino, a dimostrazione che le informazioni che Giulio riceve da Bologna sono molto attendibili: si tratta di una lettera, datata 22 marzo 1944, inviata da Lodovico Barbieri al Vicebrigadiere della Polizia di Stato Mario De Martino, che comanda il gruppo di poliziotti e carabinieri creato presso l’Ufficio A.B.E. (Amministrazione beni ebraici) della Questura di Bologna, allo scopo di individuare e porre sotto sequestro i beni appartenenti agli ebrei.
Scrive Barbieri:
Vi sarò grato se vorrete prendere accordi con il porgitore della presente per inviare un incaricato ad assistere gli operai falegnami che debbono smontare una scansia della biblioteca degli eredi del prof. Supino in Via Dante 32. Ps. Per il ritiro della scansia e dei rimanenti libri Vi farò tempestiva comunicazione.
Si tratta dell’unica, preziosa testimonianza fino ad ora reperita proveniente dalla Biblioteca dell’Archiginnasio in cui si fa direttamente riferimento alle operazioni di prelievo dei libri dei Supino; anche le scansie della libreria vengono smontate e asportate, a riprova, come vedremo più ampiamente in seguito, che le case che gli ebrei erano stati costretti a abbandonare divengono oggetto di un vero e proprio saccheggio sistematico e incontrollato, spesso gestito dagli stessi agenti e funzionari della Questura di Bologna. Ma c’è un altro aspetto relativo alla lettera di Barbieri a De Martino del 22 marzo 1944 che va evidenziato: di questa lettera non sono rimaste tracce presso la Biblioteca dell’Archiginnasio. Non si tratta solo della mancanza della minuta presso l’archivio della Biblioteca: la lettera non è stata registrata nel Registro di protocollo, dove, al numero di protocollo presente nell’originale (Prot. n. 144/VIII/2), corrisponde un altro documento, conservato nell’archivio, con collocazione Prot. 144/IV-2. Più che un errore o una dimenticanza, il sospetto è che non si volessero lasciare tracce compromettenti nell’archivio della Biblioteca riferite a rapporti con l’Ufficio A.B.E. della Questura per la vicenda dei libri dei Supino.
Da alcuni documenti conservati nel fascicolo personale di Valentina Finzi, madre di Giulio, disponiamo di ulteriori dettagli sulla scaffalatura della libreria di Supino, smontata alla fine di marzo e prelevata il 29 maggio 1944:
In data 29 corrente un incaricato del Comune di Bologna, accompagnato da un agente di questura, ha provveduto a ritirare l’intera scaffalatura (meno un piccolo scaffale) della biblioteca Supino già a suo tempo dal Comune ritirata. (Archivio di Stato Di Bologna, Prefettura. Ufficio A.B.E., fasc. n. 263)
All’inizio del 1945 un incaricato dell’Ufficio A.B.E. verifica se il mobilio affidato alla custodia di Zelinda Gazzotti è ancora presente nella villetta di via Dante dopo che il Commissariato militare è stato trasferito in altra sede:
[…] ho riscontrato che il mobilio di cui all’unito inventario sottoscritto dalla Gazzotti, esiste tutto eccezzion [sic] fatta di due scaffali locati nella stanza n. 4, 3ᵃ Sezione p. I prelevata dal Fu Direttore dell’Archiginnasio Barbieri – prelevamento fatto d’intesa con la locale Questura circa un anno orsono. (Archivio di Stato Di Bologna, Prefettura. Ufficio A.B.E., fasc. n. 263)
La mancanza tra le carte dell’archivio dell’Archiginnasio dell’atto di consegna della biblioteca di Supino e di documentazione sul prelievo dei libri sono solo alcuni degli aspetti poco trasparenti di questa vicenda che, almeno per ora, non è possibile ricostruire in modo più puntuale e dettagliato.
Ma c’è qualcosa che non convince, anche se purtroppo e almeno per ora, la documentazione disponibile non è sufficiente alla ricostruzione puntuale di questa complessa vicenda.
Rimane il dubbio che la Direzione dell’Archiginnasio abbia colto l’occasione delle norme varate tra la fine del 1943 e l’inizio del 1944 per impossessarsi di un importante fondo librario destinato a divenire parte integrante delle raccolte della Biblioteca, come espresso con chiarezza nelle ultime frasi della relazione che Serra Zanetti invia al Commissario prefettizio alla fine del 1943.
I libri di Supino vengono sequestrati pochi giorni prima del bombardamento dell’Archiginnasio del 29 gennaio 1944, e quindi trasferiti direttamente a Casaglia, che viene bombardata in ottobre. Da Casaglia vengono riportati in un Archiginnasio devastato dalla guerra e alle prese con enormi problemi organizzativi: non è dunque strano che non vi sia stato il tempo per trattarli in alcun modo, ad esempio apponendo timbri o numeri di ingresso. E pare strano che Giulio Supino, ricordando gli anni della persecuzione (cfr. Giulio Supino,Gli italiani di fronte al razzismo in Bibliografia) e l’aiuto e la solidarietà ricevuta da tanti “ariani”, non abbia dedicato qualche parola ai funzionari dell’Archiginnasio che si sarebbero occupati disinteressatamente della custodia della biblioteca del padre per evitarne la dispersione, e la stessa considerazione vale per il contenuto delle note alla prima edizione parziale del proprio diario, apparsa nel 1984.
Ad alimentare il dubbio che la Direzione dell’Archiginnasio avesse in realtà l’obiettivo di acquisire in via definitiva i libri di Supino vi è una frase che Serra Zanetti scrive nel 1947 al momento della riconsegna dei libri a Giulio Supino: dopo aver ricevuto la sua richiesta per riavere la biblioteca del padre presso la propria abitazione “a cura del Comune”, Serra Zanetti chiede l’autorizzazione all’Ufficio di pubblica istruzione per organizzare il trasporto delle casse di libri. La risposta dell’assessore Giacomo Donati è negativa, “in quanto i libri sono stati presi in consegna e conservati a suo interesse”. Il sindaco Dozza approva.
Serra Zanetti informa Giulio Supino dell’esito negativo della sua richiesta, per cui i libri gli verranno riconsegnati, ma a sue spese.
Il 31 marzo del 1947 Serra Zanetti scrive all’Economo del Comune per organizzare la riconsegna alla Soprintendenza delle 25 casse rimaste inutilizzate, delle 100 messe a disposizione per il trasporto dei libri presso l’abitazione di Supino:
Più avanti bisognerà pensare a portare a casa del prof. Supino le 75 casse piene di libri e concludendo, finalmente, questa maledetta faccenda che ha procurato tante noie al Comune e alla Biblioteca! Ma non c’è fretta per questa ultima briga.
Serra Zanetti, alla fine di questa vicenda iniziata nel dicembre del 1943, si lascia sfuggire una frase emblematica, che stride nettamente con la versione del salvataggio del tutto disinteressato della biblioteca di Supino: si è trattato di una “maledetta faccenda”, o forse maledette erano le norme che erano all’origine di tutta la vicenda, ma questo Serra Zanetti non lo scrive.
Risulta vano cercare nei vari documenti presenti nella pratica della riconsegna dei libri anche un solo cenno alle “noie” che questa vicenda causò alla famiglia Supino, oltre che alla Biblioteca, ma di questo nei documenti consultati non è rimasta, appunto, nessuna traccia, e il fastidio per le tante noie dichiarato a conclusione della “faccenda” Supino pare essere la sola espressione di rammarico espresso nel dopoguerra sulle vicende dell’applicazione della censura e delle leggi antiebraiche in Archiginnasio.
Ulteriore, interessante documentazione sui sequestri dei beni ebraici è conservata presso l’Archivio di Stato di Bologna, nel fondo Prefettura. Ufficio Amministrazione Beni Ebraici (A.B.E), dove si conservano anche i documenti della Questura di Bologna riferiti all’attività svolta per conto dell’Ufficio A.B.E della Prefettura, creato appositamente per attuare quanto previsto dal d.l.D n. 2 del 4 gennaio 1944.
Tra queste carte non sono stati individuati riferimenti al sequestro della biblioteca di Igino B. Supino, ma è stato possibile ricostruire alcuni aspetti interessanti dell’attività dell’Ufficio A.B.E della Prefettura tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1944.
Una volta rientrato a Bologna, Giulio Supino e il fratello Emilio, nominato Presidente della Comunità ebraica di Bologna dopo la Liberazione, iniziano la ricerca dei propri beni mobili che durante la loro assenza sono stati prelevati dai due appartamenti della villetta di via Dante n. 32 dove risiedevano, e chiedono inoltre di rientrare in possesso dei propri immobili, e di quando sequestrato dai loro conti bancari. Sulla base di quanto previsto dal d.l.D n. 2 del 4 gennaio 1944, il Capo della Provincia procedeva al sequestro e poi alla confisca dei beni di qualsiasi natura appartenenti agli ebrei, che venivano trasferiti in gestione all’E.G.E.L.I (Ente gestione e liquidazione immobiliare).
Ma il recupero dei beni mobili, e in particolare degli arredi e di tutti gli oggetti, libri compresi, dei due appartamenti che erano passati in eredità ai figli di Igino B. Supino, si rivela subito molto complesso.
Giulio Supino viene a sapere che dalla villetta di via Dante n. 32, abbandonata nel settembre del 1943 per sfuggire al rischio della deportazione, sono stati asportati dei mobili nel mese di ottobre dello stesso anno, da parte di due persone che segnala alla Polizia, ma i due indagati negano di avere effettuato sgomberi a quell’indirizzo.
Il 9 dicembre del 1945 Giulio Supino inoltra al Prefetto una denuncia ancora più circostanziata, che fa riferimento all’asportazione di oggetti e mobili da parte di funzionari e agenti di Polizia, su ordine del Capo della Provincia, avvenuta nel febbraio del 1944 e allega un lungo elenco di oggetti, tra cui molti libri, probabilmente una parte della propria biblioteca, dato che quella del padre era già stata prelevata alla fine di gennaio.
Sulla base della denuncia di Supino, il Prefetto invia varie richieste di informazioni agli uffici che si sono occupati dei sequestri di beni ebraici, ma riceve solo risposte negative dall’Ufficio A.B.E e dalla Questura: il recupero di mobili e oggetti non è possibile. Il Questore, in particolare, precisa che non esistono presso il suo ufficio documenti e inventari di sequestri riferiti alla famiglia Supino.
Presso la Questura era stata costituita nel novembre del 1943 una “squadretta” di venti elementi che doveva operare su ordine del Segretario particolare del Questore per procedere al sequestro dei beni ebraici. Questa “squadretta” ben presto iniziò ad operare senza predisporre inventari o ricevute dei beni sequestrati, anche su richiesta del Comando germanico e di funzionari della R.S.I., che necessitavano, ad esempio, di mobilio per arredare i propri uffici. In sostanza si operò un vero e proprio saccheggio, solo in parte controllato dalle autorità, da parte di funzionari spregiudicati che approfittarono della situazione per depredare le case degli ebrei. Nel dopoguerra mobili e oggetti appartenuti a ebrei bolognesi vengono rintracciati in altre città del nord Italia, al seguito di ufficiali italiani e tedeschi che avevano operato a Bologna. Altri beni ebraici furono segnalati da diversi cittadini, che risposero all’appello lanciato dalla Prefettura tramite annunci sui quotidiani, con cui si invitavano i bolognesi a riconsegnare o a segnalare oggetti e mobili che potevano essere ricondotti ai sequestri e ai furti di beni ebraici.
La ricerca era comunque molto difficile: nel caso dei Supino, vi furono a partire dall’ottobre del 1943 diversi sequestri più o meno “autorizzati” nella loro casa di via Dante, e solo in un caso, nel maggio 1944, gli agenti di Polizia compilarono un sommario inventario dei beni ancora presenti nell’appartamento di Giulio Supino.
Inoltre i due appartamenti di Giulio e Emilio Supino, confiscati con decreto del Capo della Provincia, vennero affittati dalla Prefettura con regolari contratti d’affitto e dunque anche l’eventuale mobilio rimasto era a rischio di asportazione, anche se l’appartamento al piano terra era occupato da Zelinda Gazzotti, donna di fiducia della famiglia Supino. L’appartamento al primo piano ospitò invece per alcuni mesi il Comando militare regionale e poi fu affittato a un tenente dell’esercito della R.S.I.
Dai fascicoli intestati a Emilio e Giulio Supino presenti nella busta 10 del fondo Prefettura. Ufficio A.B.E dell’Archivio di Stato di Bologna non vi sono riferimenti al recupero dei libri del padre presso l’Archiginnasio, ma il 23 febbraio 1946 l’Ufficio economato del Comune di Bologna avvisa il Prefetto che il pianoforte di Emilio Supino è stato riconsegnato al legittimo proprietario. Il pianoforte era stato ritrovato dallo stesso Supino nei locali della Scuola professionale femminile “Regina Margherita”, in via Saragozza n. 8, dove era sfollata la colonia di Casaglia in seguito al bombardamento dell’11 ottobre 1944.
Antonio Rosa, custode della colonia di Casaglia, rilascia la seguente dichiarazione agli agenti di P.S. dell’Ufficio A.B.E.:
Mi risulta che il pianoforte verticale di colore nero marca “Kaps Dresden” depositato presso la Scuola professionale Regina Margherita, via Saragozza n. 8, è di proprietà dell’Ing. Supino Emilio, in quanto il Prof. Barbieri, direttore della biblioteca comunale di Bologna, ora deceduto, che lo trasportò a Casaglia per sfollamento, mi dichiarò che era di proprietà del Supino.
Si tratta forse del pianoforte di cui Giulio Supino scrive nel suo diario il 24 febbraio del 1944, in un passo già in parte citato (cfr. Giulio Supino, Il ‘44 e il ‘45)
Vedo Domenico che mi porta notizie da casa. Buone fino a un certo punto. I miei libri, con quelli del babbo. Il pianoforte… pure, ma vi è una questione con la questura.
Questa testimonianza pare confermare la dichiarazione del custode di Casaglia: anche il pianoforte seguì il destino dei libri di Igino e Giulio Supino, trasferiti dalla casa di via Dante a Casaglia, e in questo caso si potrebbe forse pensare, ma è solo un’ipotesi, ad un interessamento da parte di Alberto Serra Zanetti, non ancora direttore dell’Archiginnasio, noto per la grande passione per la musica e per le doti di compositore e di suonatore d’organo.
I libri di Igino e Giulio Supino e il pianoforte di Emilio Supino non furono riconsegnati spontaneamente ai legittimi proprietari dopo la Liberazione. Nel caso del libri fu necessaria una richiesta inviata da Giulio Supino al Sindaco Giuseppe Dozza, mentre il pianoforte di Emilio Supino, depositato all’interno di una scuola comunale, fu riconsegnato su disposizione della Prefettura.
La famiglia Supino sperimentò dunque a proprie spese quanto sarebbe stato complesso rientrare in possesso dei propri beni, per la maggior parte ormai dispersi e introvabili. Nei primi mesi del dopoguerra quando numerosi cittadini bolognesi dichiararono di essere entrati in possesso nei modi più disparati e a volte inverosimili, spesso casualmente e senza conoscerne la provenienza, di mobilia appartenente a famiglie ebraiche, si verificarono alcuni episodi emblematici.
Il 29 maggio 1945 Maria Tedeschi, abitante in via delle Rose n. 24, scrive a Emilio Supino, Presidente della Comunità ebraica di Bologna, per comunicargli di aver consegnato ad agenti della Questura una lunga lista di oggetti e di mobili, di probabile provenienza da case di ebrei, che vengono messi a disposizione della Comunità ebraica in via de’ Gombruti n. 9; la Tedeschi dichiara di aver sottratto questi mobili alla distruzione e all’asportazione da parte dei soldati germanici, e dunque chiede al Presidente della Comunità non solo di essere rimborsata per le spese sostenute per la custodia dei mobili, ma anche una ricompensa per aver messo in salvo «una così grande quantità di beni di inestimabile valore». Sul retro della lettera un perplesso rag. Conegliano, segretario della Comunità ebraica, scrive, rivolto ad un avvocato:
Egregio Avvocato, desidererei conoscere il Suo parere in merito alla Lettera allegata. A mio modo di vedere credo che la richiesta non abbia alcun fondamento, in quanto che l’interessata, se avesse potuto, non avrebbe mai consegnato i mobili – che certamente non ha raccolto per altruismo! (ASBo, Prefettura. Ufficio A.B.E., b. 5, fasc. 53)