La censura dopo la Liberazione

Le disavventure per il patrimonio librario italiano, sottosto prima alla censura fascista e poi agli effetti dei bombardamenti che colpirono biblioteche e archivi con la distruzione di centinaia di migliaia di volumi, non terminarono con la fine della guerra e della dittatura fascista.
Il 9 agosto 1945 il Ministro della Pubblica istruzione Vincenzo Arangio Ruiz invia ai Direttori delle biblioteche e ai Soprintendenti bibliografici una circolare che ha per oggetto: Pubblicazioni di carattere fascista, con cui si dispone di sottrarre alla «lettura ed al prestito le pubblicazioni fasciste […]. Poiché in questo momento è politicamente opportuno non destinare opere di tal natura alla lettura pubblica […]». Il ministro Arangio Ruiz teme però che ci possano essere indiscriminati interventi distruttivi nei confronti dei documenti pubblicati in epoca fascista, con il rischio che si arrivi a «[…] privare le biblioteche stesse di un materiale librario che riveste, se non altro, e tanto più rivestirà col passar del tempo, un’importanza documentaria che non può sfuggire ad alcuno».
In sostanza Arangio Ruiz ha gli stessi timori che aveva avuto a suo tempo Bottai, ovvero che funzionari troppo ligi potessero andare oltre le disposizioni che limitavano la fruizione dei documenti sottoposti a censura e procedessero direttamente alla loro distruzione.
Questa circolare non è presente nell’archivio della Biblioteca dell’Archiginnasio, né risulta conservata presso l’archivio della Soprintendenza bibliografica a cui competeva il controllo delle biblioteche bolognesi.
Un altro documento di grande interesse dell’aprile del 1945 riguardante la censura antifascista è conservato presso le carte del Provveditorato agli studi di Bologna, con il titolo: Defascistizzazione dei libri di testo. Elenchi ufficiali (B e C) dei volumi esaminati dalla Commissione per la defascistizzazione dei libri di testo, a firma Quartiere generale Commissione Alleata. Sottocommissione dell’Educazione.
Nell’elenco B) rivolto a librai e editori si trovano 164 autori di cui una o più opere vanno sequestrate e inviate al macero; tra gli autori vi sono Mussolini, Hitler, Goffredo Coppola e Giorgio Pini, con uno dei suoi libri più famosi: Benito Mussolini la sua vita fino ad oggi dalla strada al potere. Nell’elenco C) sono presenti alcune centinaia di autori di cui una o più opere vanno private solo delle pagine in cui si fa propaganda fascista, pagine che andavano addirittura strappate e mandate al macero: i timori del ministro Ruiz di nuove distruzioni di libri, non bruciati ma inviati al macero, erano dunque fondati.
Nulla attesta che in Archiginnasio nel dopoguerra sia stata operata una censura antifascista sulle pur tante pubblicazioni giunte in Biblioteca durante il Ventennio, neanche nel caso di pubblicazioni con spiccato carattere di propaganda o che sostenevano la persecuzione antiebraica.
Va ricordato invece un episodio riguardante una pubblicazione dello stesso Albano Sorbelli. Il 30 settembre del 1944 Alfonso Gallo, commissario straordinario dell’Ente nazionale per le biblioteche popolari e scolastiche, fa inviare al macero le copie rimaste della Piccola guida per le biblioteche popolari e scolastiche, che conteneva diversi positivi apprezzamenti sulle iniziative del Regime nei confronti del sistema bibliotecario nazionale; per la nuova direzione dell’Ente che agiva a Roma nelle zone già liberate, il libro di Sorbelli era ormai del tutto politicamente superato e andava distrutto.
Sempre nell’ambito del tema della censura, si deve anche segnalare che sono andate smarrite prima del 1947 varie decine di periodici, a causa probabilmente del caos seguito al bombardamento del 29 gennaio 1944 e al trasporto di documenti della Biblioteca verso il deposito temporaneo della colonia estiva di Casaglia, a sua volta bombardato l’11 ottobre 1944; tra le schede dei periodici andati smarriti e recentemente recuperate, vi sono diverse riviste di epoca fascista, ma il loro numero complessivo non è tale da far pensare a una sistematica eliminazione attuata nel dopoguerra dei periodici del Regime e di propaganda nazista.
Solo in alcuni casi si può avanzare l’ipotesi, non suffragata però da alcuna prova, che alcune delle riviste fasciste mancanti non siano andate smarrite accidentalmente o che non siano state eliminate per volontà di attuare una bonifica delle raccolte dell’Archiginnasio sull’onda della sconfitta del Regime, ma che siano state fatte sparire da bibliotecari che avevano aderito con convinzione al Fascismo, nel tentativo di rendere difficilmente accessibili gli scritti che provavano la loro militanza.
Si tratterebbe dunque della sottrazione di documenti fascisti operata da bibliotecari ex-fascisti, un caso piuttosto interessante di censura, anche perché probabilmente verificatosi di rado nelle biblioteche italiane, o perlomeno molto difficile da provare, dato che agendo dall’interno delle biblioteche era possibile far sparire i documenti compromettenti senza correre grandi rischi e senza lasciare tracce.

 

Il caso di Giovanni Falzone e de «Il Setaccio»

Uno di questi casi potrebbe riguardare il già citato Giovanni Falzone e «Il Setaccio», la rivista ufficiale della Gioventù Italiana del Littorio di cui era direttore in qualità di Responsabile dell’Ufficio 4P, che si occupava della propaganda della G.I.L.
Nel 1977 Mario Ricci pubblica un ampio studio dedicato a «Il Setaccio», della cui redazione era stato membro, proponendo anche un’antologia degli scritti di Pasolini apparsi sulla rivista, sino a quel momento difficilmente accessibile data la sua rarità, essendo «[…] inspiegabilmente introvabile nelle due biblioteche bolognesi [l’Archiginnasio e la Biblioteca Universitaria], in possesso quindi privato di pochissimi di noi che vi collaborarono».
In realtà l’Archiginnasio possedeva la raccolta completa de «Il Setaccio», i cui numeri venivano regolarmente donati dalla direzione della rivista, e quindi dallo stesso Falzone, ma l’intera raccolta sparì prima del 1947, e con essi gli articoli di propaganda a favore della guerra e contro gli ebrei scritti da Falzone, che nel dopoguerra proseguirà la sua carriera all’interno dell’Archiginnasio fino a raggiungere la qualifica di vicedirettore: mancano le prove dunque, ma il movente potrebbe sembrare molto solido.

 

Il caso di Ivo Luminasi

Anche un altro noto fascista bolognese potrebbe essere riuscito a far eliminare alcune riviste compromettenti dalle raccolte dell’Archiginnasio, pur non essendo un dipendente della Biblioteca: si tratta di Ivo Luminasi (1882-1950), che dal 1926 al 1933 dirige la rivista dell’amministrazione municipale bolognese, «Il Comune di Bologna», pubblicandovi tra il 1924 e il 1935 decine di articoli e curandone varie rubriche, come ad esempio Vita fascista.
Luminasi nel 1942 dona all’Archiginnasio 26 riviste realizzate dalle sedi decentrate del P.N.F. di Bologna, i Gruppi rionali, e da vari Fasci di Combattimento della Provincia. Vi sono alcune significative caratteristiche comuni a questa importante raccolta di giornali fascisti: per tutti la data di inizio della pubblicazione è il 1941 (tranne uno, il cui primo numero esce nel gennaio 1942) e tutti sospendono le pubblicazioni entro i primi sei mesi del 1942. Ma il fatto più singolare è che questi periodici hanno un solo direttore responsabile, Ivo Luminasi, come lui stesso dichiara in un manoscritto donato alla Biblioteca dell’Archiginnasio nel 1943: Elenco dei giornali, periodici e riviste fasciste pubblicate e che si pubblicano in Bologna dall’inizio del Fascismo.

Ivo Luminasi (1882-1950) nel 1942 dona all’Archiginnasio 26 riviste realizzate dalle sedi decentrate del P.N.F. di Bologna, i Gruppi rionali, e da vari Fasci di Combattimento della Provincia. Direttore responsabile di tutte le riviste è lo stesso Luminasi. Nel dopoguerra di tutta la raccolta rimane un solo fascicolo e anche le schede del catalogo risultano mancanti. BCABo, Ms. B. 4420, n. 7. Elenco dei giornali, periodici e riviste fasciste pubblicate e che si pubblicano in Bologna dall’inizio del Fascismo, Bologna, 2 luglio 1943.

Pur rimanendo sempre nel campo delle supposizioni, si può pensare a un progetto del P.N.F. bolognese di potenziare la propaganda nei primi anni cruciali del conflitto, incaricando Luminasi, già esperto di comunicazione e periodici, di realizzare nuove riviste come espressione dei Gruppi rionali di Bologna e dei Fasci di Combattimento della Provincia, e questo nonostante la cronica mancanza di carta che causa la chiusura di molti periodici e dal 1941 porta al divieto di pubblicare nuove riviste.
Luminasi nel suo elenco descrive le riviste fasciste pubblicate a Bologna a partire dai primi anni Venti, da «L’Assalto», organo della Federazione provinciale bolognese dei Fasci di Combattimento, a «Il Littoriale», il quotidiano sportivo fondato da Leandro Arpinati, fornendo informazioni sui responsabili delle testate e sul periodo di pubblicazione dei vari periodici; l’elenco presenta alcune lacune, e anche alcuni titoli incongrui, dato che vi compare «L’Archiginnasio», fondato molti anni prima dell’avvento del Fascismo, ma una buona parte dei titoli elencati sono di grande interesse perché non compaiono nei principali studi relativi alla stampa periodica bolognese di epoca fascista, dove in genere ci si è occupati solo dei giornali più significativi.
Solo un fascicolo dei 26 periodici donati da Ivo Luminasi è ancora conservato in Archiginnasio, e già questa quasi totale sparizione appare singolare; ma ancora più difficile da spiegare è il fatto che nessuna delle 26 corrispondenti schede del catalogo storico Frati-Sorbelli si trovi conservata tra le altre 153 schede del catalogo corrispondenti ai periodici risultati mancanti durante il riscontro effettuato nel 1947. Devono quindi essere state tolte dal catalogo prima di quella data. In mancanza di informazioni precise si possono fare diverse supposizioni: la più semplice potrebbe essere che le 26 riviste donate da Luminasi siano state ingressate, come risulta dalla totalità dei relativi schedoni dei periodici a noi giunti, ma che non siano state catalogate, e quindi non siano mai state compilate le relative schede catalografiche; poi, nei mesi successivi, nel caos dell’Archiginnasio bombardato, l’intera collezione potrebbe essere andata perduta, tranne un numero di «Armi e aratro». Ma si potrebbe, tra le altre ipotesi, anche supporre che Ivo Luminasi, con l’aiuto di un bibliotecario compiacente e per le stesse ragioni di Falzone, sia riuscito a eliminare le prove cartacee della sua militanza politica, facendo sparire le riviste di cui era direttore responsabile ed eliminando le schede del catalogo. Rimangono quindi in Archiginnasio, a testimonianza dell’attività di Luminasi come direttore di giornali fascisti nel periodo 1941-1942, solo un numero di «Armi e aratro», il suo Elenco manoscritto, le annotazioni sul Registro dei doni e tutti gli schedoni dei periodici, con l’indicazione dei numeri che erano stati donati per ogni testata.

 

La censura dei giornali del 1919-1920: il caso Pietro Nenni e il caso della Strage di Palazzo d’Accursio

Le ipotesi di una intenzionale eliminazione, svolta all’interno della Biblioteca nei primi tempi dopo la Liberazione, di documentazione compromettente trovano un qualche sostegno e acquistano maggiore credibilità sulla base di un episodio avvenuto proprio negli anni 1946-1947, che se per un momento ci allontana dal periodo storico riguardante questo saggio, in realtà fa presupporre che si sia verificata, anche nel caso dei periodici fascisti spariti, una analoga attività censoria di autotutela.
Il 10 luglio del 1947 su «La Squilla socialista. Organo della Federazione bolognese del P.S.L.I», il settimanale del P.S.L.I. (Partito socialista dei lavoratori italiani), compare un breve articolo dal titolo Scambio di cortesie tra comunfusionisti?

Si dice… che collezioni di quotidiani bolognesi degli anni 1915-1922 sono state trasportate dalla Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio al Comune. E che quando esse sono state restituite erano mancanti delle pagine riguardanti la vita politica bolognese di Pietro Nenni. A che pro questa sottrazione? A che giova? Non certo alla serietà dei compagni e tanto meno dell’Amministrazione Comunale. E nemmeno per impedire il giudizio della storia. La quale è inesorabile anche se la bontà dei contemporanei è grande e piena di indulgenza. Domandiamo che una commissione composta da rappresentanti di tutti i partiti facenti parte del Consiglio comunale accerti i fatti e l’inspiegabile manomissione delle importanti collezioni. Basta con certi sistemi.

Tocca a Alberto Serra-Zanetti, direttore reggente dell’Archiginnasio, fornire spiegazioni sull’accaduto, in una lunga relazione inviata al Segretario generale del Comune di Bologna Antonio Gaiani:

[…] Effettivamente risulta che nelle annate 1919 e 1920 del «Giornale del mattino» sono stati strappati o ritagliati articoli o brani di articoli d’una nota personalità politica. Nel secondo semestre dell’annata 1920 de «Il Resto del Carlino» (e precisamente nei numeri dal 22 novembre al 4 dicembre) sono stati sottratti di recente pagine riguardanti i fatti di Palazzo d’Accursio. Questi accertamenti, ripeto, erano già stati fatti da tempo ed i relativi risultati erano stati inseriti nel materiale informativo destinato a documentare la relazione generale ch’io presenterò all’on. Sindaco non appena sarà ultimato il lungo e complesso lavoro di riscontro, con l’inventario, di tutta la suppellettile bibliografica della Biblioteca […]. (BCABo, Archivio riservato, prot. n. 9, 1947, relazione di Serra-Zanetti, s.d., ma estate del 1947).

Serra-Zanetti continua la sua relazione precisando che tutte le raccolte dei giornali locali furono trasportate nella palestra della colonia scolastica di Casaglia, dove però non subirono particolari danni, nonostante il bombardamento dell’11 ottobre 1944 e la presenza di soldati tedeschi e di militi della Repubblica di Salò che si introdussero varie volte nei depositi provvisori; successivamente, dall’aprile del 1945 al giugno del 1947, queste raccolte di periodici si poterono consultare presso la sede provvisoria della Biblioteca, in via de’Foscherari, in condizioni di massima sicurezza e controllo. Dunque è

[…] da escludere , in modo assoluto, che durante questo periodo siano avvenute sottrazioni di pagine dai giornali cittadini. Ed è del pari da escludere che persone interessate siano penetrate in Biblioteca nelle ore di chiusura, con lo scopo di distruggere eventuali prove a loro carico […]. Nei primi mesi del 1946 fino a primavera inoltrata, l’on. sig. Sindaco o l’Ufficio Gabinetto fecero richiesta, in varie riprese, di molte annate de «Il Resto del Carlino», dell’«Avvenire d’Italia» e del «Giornale del mattino» (dal 1919 al 1930 circa), i volumi furono ritirati da inservienti autorizzati […]. Parecchie annate vennero richieste in consultazione negli uffici comunali, nello stesso periodo, anche da Assessori e Consiglieri Comunali (il prof. Samaia [ma Samaja], l’avv. Pergola e il prof. Longhena). […] A distanza di tempo è stata invece verificata la mancanza proprio di quelle pagine che si riferiscono ai suddetti periodi [per il «Giornale del mattino» e per «L’Avvenire d’Italia» l’anno 1919, in particolare aprile, per «Il Resto del Carlino» il periodo dei fatti di Palazzo d’Accursio, alla fine del 1920]. Non è mia intenzione di formulare deduzioni che potrebbero suonare offesa a persone autorevoli ed insospettabili. Potrebbe darsi che le manomissioni siano avvenute da parte di persone estranee penetrate negli Uffici comunali, dato che varie annate sono rimaste colà depositate.
Serra-Zanetti cerca dunque di difendersi dalla possibile accusa di non avere predisposto tutte le misure di sicurezza idonee a salvaguardare le raccolte dei periodici locali dell’Archiginnasio, e d’altra parte nel momento in cui i giornali venivano richiesti e trasferiti presso gli uffici del Comune di Bologna, non poteva essere lui a garantirne il corretto utilizzo.
La Biblioteca dell’Archiginnasio si trova in realtà coinvolta in uno scontro politico molto aspro tra il P.S.L.I. da una parte e il P.S.I. e il P.C.I., all’epoca alleati, dall’altra: uno scontro senza esclusioni di colpi, sintomo di una guerra fredda già iniziata, dove il P.S.L.I. si trovava schierato su posizioni filo occidentali e filo statunitensi, mentre il P.S.I. di Nenni, neutralista in politica estera, era alleato con il P.C.I. che naturalmente sosteneva posizioni filo sovietiche.
Gli scontri tra le due anime della sinistra italiana erano all’ordine del giorno, e in particolare Pietro Nenni, leader del P.S.I., era oggetto di accuse molto gravi che si riferivano in particolare ai primi sei mesi del 1919, quando dirigeva a Bologna il «Giornale del mattino», dalle cui colonne condusse una pressante campagna contro le tendenze bolsceviche dei socialisti, che i militanti del P.S.L.I. nel primi anni del dopoguerra gli rinfacciavano, ora che si trovava ad essere stretto alleato dei comunisti. Inoltre, e questo verrà ricordato a lungo dai suoi oppositori, Nenni aveva contribuito a fondare il 9 aprile del 1919 quello che è considerato il primo Fascio di combattimento bolognese.
Scrive a proposito di questo episodio Nazario Sauro Onofri, memoria storica dei socialisti bolognesi:

Il fascismo bolognese ebbe due atti di nascita. Il 9 aprile 1919 fu fondato il fascio di combattimento da un gruppo di di ex combattenti di orientamento radicale e repubblicano tra i quali Mario e Guido Bergamo, Dante Calabri, Pietro Nenni, Adelmo Pedrini ed altri. Alcuni elementi di destra, come Dino Zanetti, uscirono subito dal fascio per la sua tendenza repubblicana. Questo fascio non svolse alcuna attività politica e si dissolse in breve tempo.

Nei mesi successivi alla fondazione del Fascio, Nenni vive le fasi più difficili di un complesso travaglio interiore, che lo porteranno nel settembre del 1920 a dimettersi dal P.R.I. (Partito repubblicano italiano) e a avvicinarsi sempre più al P.S.I., a cui si iscriverà nel 1921 per poi diventarne uno dei massimi esponenti:

[…] Nenni mostrò di considerare questa sorta di incidente nel suo curriculum ideale e politico [l’adesione al primo Fascio di combattimento] a seconda dei casi ora in modo più sereno e obiettivo, ora in termini eccessivamente riduttivi. Nel complesso fu assai più severo con la sua più lontana e corposa scelta interventista, che non sulla momentanea ricaduta dell’aprile 1919. Probabilmente, considerando i diversi aspetti della questione, non aveva tutti i torti. (Enzo Santarelli, Pietro Nenni, Torino, UTET, 1988, p. 52).

Per gli oppositori di Nenni, questo «incidente» rappresentò invece, nel clima infuocato della politica del dopoguerra, uno strumento per evidenziarne contraddizioni e errori:
Nel 1947 su «La Squilla socialista. Organo della Federazione bolognese del P.S.L.I» Nenni è oggetto di numerosi e pesanti attacchi, che hanno l’obiettivo di delegittimare la figura del leader socialista, riportando ad esempio alcune frasi o interi articoli antibolscevichi e antisocialisti scritti all’epoca in cui era direttore del «Giornale del mattino» e ricordando in particolare il suo ruolo nella fondazione del primo Fascio di combattimento; in luglio compare l’articolo con l’accusa, diretta evidentemente ai membri del P.S.I. bolognese, di aver voluto occultare aspetti imbarazzanti della vita politica di Nenni distruggendo alcuni articoli compromettenti apparsi sul quotidiano di cui era direttore.
In effetti dalle raccolte dell’Archiginnasio del «Giornale del mattino» risultano mancanti, in genere malamente strappati, alcuni articoli pubblicati nel 1919, ma anche intere pagine, con l’intento di non rendere accessibili otto articoli di cui cinque (pubblicati tra il 10 aprile e il 28 aprile), relativi al periodo in cui Nenni partecipa alla fondazione del primo Fascio di combattimento di Bologna: l’accusa lanciata dalle pagine de «La Squilla socialista» pare dunque difficilmente contestabile.
Tra gli articoli mancanti si segnalano:
La costituzione del Fascio di combattimento, articolo non firmato. Si tratta di un ampio resoconto della fondazione del primo Fascio di combattimento, Pietro Nenni tiene un applaudito discorso e entra a far parte della Giunta esecutiva

Il 10 luglio del 1947 su «La Squilla socialista. Organo della Federazione bolognese del P.S.L.I» si denuncia l’asportazione da alcuni giornali bolognesi del 1919 conservati in Archiginnasio, in particolare dal «Giornale del mattino», di articoli riguardanti Pietro Nenni. Tra gli articoli asportati vi è, non firmato: La costituzione del Fascio di combattimento, un ampio resoconto sulla fondazione del primo Fascio di combattimento di Bologna. «Giornale del mattino», a. X, n. 100, 10 aprile 1919, p. 3: l’articolo risulta ritagliato. BCABo, collocazione G.2

Il Fascio di combattimento, articolo non firmato. Nel breve articolo si ribadiscono i punti fondamentali del programma del Fascio, e si attacca un articolo pubblicato da «L’Avvenire d’Italia» il giorno prima.
Imponente adunata degli Arditi e del Fascio di combattimento, articolo non firmato. Nell’articolo si cita un discorso tenuto da Nenni e si vota un ordine del giorno contro lo sciopero in atto nei due giorni precedenti, proclamato dai socialisti per protestare contro la distruzione della sede de «L’Avanti!», avvenuta a Milano il 15 aprile.
Il Fascio di combattimento, articolo non firmato. Nell’articolo si riporta l’ordine del Comando di armata rivolto a tutti i militari sotto le armi di non aderire al Fascio di combattimento, né ad associazioni socialiste o alle Camere del lavoro; solo i militari in congedo possono aderirvi.
L’imponente manifestazione patriottica per Fiume italiana. Bologna. In nome del Fascio di Combattimento. Parla Nenni, articolo non firmato. Il Fascio di combattimento partecipa alla manifestazione per Fiume, e Nenni tiene un applaudito discorso, riportato nell’articolo.
Nella sua relazione Serra-Zanetti fa riferimento a due assessori della Giunta comunale e a un consigliere, che hanno sicuramente consultato i giornali dell’Archiginnasio con la cronaca locale presso i loro uffici di Palazzo comunale: Nino Samaja (1876-1959), Artemio Pergola (1893-1967) e Mario Longhena (1876-1967), che potrebbero dunque aver partecipato, ma su fronti opposti, a questa guerra combattuta sui periodici dell’Archiginnasio.
«Il Resto del Carlino» non dedicò molta attenzione alla nascita del primo Fascio di combattimento, e dunque la raccolta conservata in Archiginnasio non presenta articoli ritagliati nelle pagine dell’aprile 1919. Furono invece eliminati gli articoli pubblicati su «L’Avvenire d’Italia», che pubblicò due ampi resoconti, fortemente critici, verso la fondazione del Fascio di combattimento, contenenti importanti dettagli e informazioni sull’avvenimento, non presenti nemmeno sul «Giornale del mattino».
L’attività censoria che portò all’eliminazione dalle raccolte dell’Archiginnasio di articoli pubblicati nel 1919 riguardanti Nenni e la fondazione del primo Fascio di combattimento non potevano ottenere il risultato di cancellare eventi storici ampiamente noti, ma di certo complicano ancora oggi, e non poco, la ricerca di informazioni dirette su quegli avvenimenti: le raccolte dell’Archiginnasio de «L’Avvenire d’Italia» e del «Giornale del mattino» sono state rese inutilizzabili, e nell’altra grande biblioteca bolognese, la Biblioteca Universitaria, vi sono ampie lacune che impediscono il recupero degli articoli mancanti in Archiginnasio.
Meno chiari appaiono i motivi della sparizione di pagine e articoli de «Il Resto del Carlino» e in misura molto minore de «L’Avvenire d’Italia» nel periodo tra il 23 novembre e il 4 dicembre 1920, dopo che Bologna era stata sconvolta dalla strage di Palazzo d’Accursio del 21 novembre, avvenuta durante la manifestazione per l’insediamento del sindaco socialista Enio Gnudi, dopo la vittoria ottenuta alle elezioni amministrative del 31 ottobre 1920.
La strage di Palazzo d’Accursio fu un evento di cui si parlò in tutta Italia per mesi, e non sembra plausibile che si sia voluto tentare di occultarla eliminando gli articoli pubblicati sui due quotidiani stampati a Bologna. Mentre l’episodio della fondazione del primo Fascio di Combattimento era passato quasi inosservato sulle pagine dei quotidiani nazionali, ma anche de «Il Resto del Carlino», della strage di Palazzo d’Accursio si discusse animatamente in Parlamento, dove fu istituita una commissione d’inchiesta; «L’Avvenire d’Italia», che dedicò invece ampio spazio all’avvenimento, si distinse per la ferocia degli attacchi verso i socialisti, accusati di aver ordito un complotto per eliminare fisicamente l’opposizione in Consiglio comunale.
La strage di Palazzo d’Accursio rappresentò una dura e umiliante sconfitta per il P.S.I. bolognese, mentre per Arpinati e il Fascio di combattimento fu determinante per la vittoria del Fascismo, e non solo a Bologna, ma pensare che i socialisti del primo dopoguerra volessero cancellare l’onta di quella sconfitta strappando alcune pagine dai giornali locali, è poco credibile. Anzi, proprio la campagna di stampa che «Il Resto del Carlino» e «L’Avvenire d’Italia» lanciarono contro i socialisti, stava a dimostrare come dietro a Arpinati si fosse coagulato un insieme di forze politiche, sociali e economiche che vedevano nei socialisti il nemico da battere, a qualunque costo, e dunque quegli articoli rappresentavano un’importante testimonianza storica per capire come e perché il Fascismo aveva vinto: la strage di Palazzo d’Accursio rappresentava ancora una ferita aperta e dolorosa, che non poteva certo essere sanata strappando qualche pagina di giornale. Proprio sul settimanale del P.S.I.U.P. bolognese, «La Squilla», nel settembre del 1945 veniva pubblicata una lettera di un militante, dal titolo Falsari!, dove veniva proposta una ricostruzione dei fatti del 21 novembre 1921 del tutto diversa da quella antisocialista sostenuta dai giornali bolognesi dell’epoca.