Nel febbraio del 1942 viene scritta una delle pagine più nere della storia delle biblioteche in Italia.
Con la circolare n. 1919 del 10 febbraio 1942, firmata da Giuseppe Bottai, Ministro dell’Educazione nazionale, si dispone il divieto di accesso alle biblioteche pubbliche governative alle “persone di razza non ariana”. Questo ulteriore inasprimento della persecuzione antiebraica risultò particolarmente gravoso per i pochi studenti ebrei che erano ancora autorizzati a frequentare le Università e per gli stessi professori ebrei espulsi dall’insegnamento, a cui si negava anche la possibilità di proseguire i propri studi.
In Archiginnasio il contenuto della circolare giunge tramite una comunicazione del soprintendente Fava del 16 febbraio 1942, che si chiude con la richiesta a Sorbelli di dare un “cenno di assicurazione circa l’osservanza in codesta biblioteca della predetta disposizione.”
Vi assicuro che ho dato disposizioni per l’osservanza della prescrizione ministeriale riguardante il divieto di accesso, per gli studiosi di razza non ariana, alle pubbliche biblioteche.
La richiesta di Fava e la pronta risposta di Sorbelli lasciano perplessi: la circolare di Bottai fa riferimento esclusivamente alle biblioteche governative, e dunque sorprende la decisione di applicare immediatamente il divieto alla Biblioteca dell’Archiginnasio, che governativa non era. Certo l’Archiginnasio era una delle più importanti biblioteche italiane e sia Fava che Sorbelli, che era uno dei più stimati bibliotecari dell’epoca, potevano considerare l’Archiginnasio al livello di molte biblioteche governative, ma l’ente di appartenenza risultava essere pur sempre il Comune di Bologna.
In sostanza Sorbelli, su indicazione di Fava, anticipa il contenuto di una circolare datata 29 aprile 1942 del Prefetto di Bologna, Edoardo Salerno, inoltrata alla Biblioteca dal Segretario generale del Comune di Bologna, Rino Magnani, con la quale il divieto di accesso alle biblioteche governative veniva esteso, per ordine del Ministero dell’Interno, a tutte le biblioteche degli “enti ausiliari”, e quindi anche dei Comuni.
Nella circolare del prefetto del 29 aprile si precisa inoltre, sulla base di quanto disposto da una seconda circolare di Bottai, datata 15 marzo, n. 2518 (cfr. Fabre, p. 252-253), che
Gli ebrei, oltre che dalle sale di lettura, si intendono esclusi dai cataloghi, dal prestito e dalle informazioni bibliografiche; quelli iscritti ad albi professionali che tutelano interessi di società ed altri enti anche ariani sono ammessi soltanto a consultare il catalogo.
Il divieto non riguardava i discriminati, cioè gli ebrei appartenenti ad alcune categorie a cui non si applicavano parte delle norme persecutorie, come ad esempio chi poteva vantare particolari benemerenze ottenute combattendo durante la Prima guerra mondiale.
Sorbelli annota sulla circolare del Prefetto: “Al personale degli uffici di distribuzione e al prestito, per conoscenza”, e invia la risposta alla Direzione dei servizi amministrativi:
[…] ho già provveduto affinché negli uffici del prestito e della distribuzione osservino le disposizioni contenute nella circolare prefettizia.
Oltre alle perplessità sull’operato di Fava e di Sorbelli, che anticipano di propria iniziativa l’applicazione di disposizioni che verranno solo in un secondo tempo estese dal Ministero dell’Interno alle biblioteche non governative, rimane il dubbio su come questi provvedimenti siano stati concretamente attuati presso la Biblioteca dell’Archiginnasio. Scriveva Bottai nella circolare del 10 febbraio 1942:
Nei confronti dei frequentatori delle Biblioteche stesse per i quali dovessero sorgere dubbi circa la razza, dovranno essere eseguiti gli opportuni accertamenti mediante l’esame dei documenti d’identità personale.
Non risulta però che sulle carte di identità (ma neanche sui passaporti) fosse indicata l’appartenenza razziale, secondo le categorie previste (ariani, ebrei, discriminati), tranne che per brevi periodi e su decisione di autorità locali. La Direzione generale della pubblica sicurezza su questo aspetto prese posizione più volte per evitare iniziative di uffici periferici (cfr. Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista, p. 167).
Purtroppo la mancanza di testimonianze e la sistematica opera di rimozione attuata nel dopoguerra non ci permette di sapere se e come venivano effettuati i controlli all’ingresso della Biblioteca dell’Archiginnasio.
Probabilmente gli stessi ebrei, duramente provati da norme persecutorie sempre più feroci, venuti a conoscenza del divieto evitavano il rischio di subire un umiliante rifiuto di accesso in quelle stesse biblioteche in cui molti di loro avevano condotto gli studi universitari.
Possediamo però un’interessante testimonianza che ci ha lasciato Giulio Supino, ordinario di costruzioni idrauliche presso l’Università di Bologna, che in seguito alle leggi razziali fu costretto ad abbandonare l’insegnamento. Giulio era figlio di Igino B. Supino, titolare della cattedra di Storia dell’arte a Bologna fino al 1933, di cui parleremo nell’ambito del sequestro della sua biblioteca privata a favore dell’Archiginnasio.
Scrive Giulio Supino, che era stato inserito nella categoria dei discriminati per meriti di guerra, che la discriminazione serviva
[…] per poter frequentare le biblioteche, perché, per quanto non fosse scritto in nessuna legge, in realtà non era permesso frequentare biblioteche, istituti universitari, istituzioni culturali, e la prima volta che entrai nella biblioteca universitaria senza la lettera di discriminazione in tasca fui cortesemente messo alla porta.
(Giulio Supino, Gli italiani di fronte al razzismo, cfr. la Bibliografia).
In mancanza di testimonianze e documentazione esplicita sulle modalità di applicazione del divieto di accesso alle biblioteche pubbliche, è stata suggerita una ulteriore opzione di ricerca, che prenda in esame lo «[…] studio dei registri relativi all’uso pubblico delle biblioteche: registri purtroppo perduti o distrutti in gran parte delle biblioteche, per il periodo che ci interessa, ma di cui comunque restano esempi e intere serie, non ancora utilizzati a questo scopo» (A. Petrucciani – Enrico Pio Ardolino, Autori sgraditi e lettori ebrei: il caso della biblioteca universitaria di Napoli (1939-1943).
Nell’archivio della Biblioteca dell’Archiginnasio si conservano, per il periodo che va dal febbraio del 1942 alla fine di novembre del 1943, i Registri del prestito e i Registri delle malleverie. Per un primo sondaggio si è partiti dal Registro delle malleverie, previsto dall’art. 60 del Regolamento della Biblioteca; al prestito erano ammesse numerose categorie di persone domiciliate in città (professori universitari, soprintendenti, direttori di musei e gallerie etc), mentre le persone che non rientravano in queste categorie potevano accedere al servizio di prestito tramite malleverie.
Tra i mallevadori che compaiono più di frequente fino all’estate del 1938 vi è il filosofo Rodolfo Mondolfo (1877-1976) che dal 1914 insegna Storia della filosofia presso l’Università di Bologna: la sua ultima malleveria, prima di essere espulso dall’insegnamento, risale al luglio del 1938, poi il suo nome scompare dal registro.
Gli studenti e gli studiosi ebrei fino al febbraio 1942 potevano accedere alle biblioteche pubbliche, anche se erano già stati espulsi dalle scuole e dall’insegnamento, e dunque non è strano trovare alcuni ebrei tra i mallevati dell’Archiginnasio, ma nel Registro delle malleverie compaiono i nomi di due ragazze ebree ammesse al prestito anche dopo quella data: le sorelle Giovanna e Paola Bemporad, con mallevadore rispettivamente Ezio Chiorboli e Pericle Ducati.
Giovanna, nata a Ferrara il 19 novembre 1923, e Paola, nata a Bondeno (Ferrara) il 4 ottobre 1919, sono figlie di Ettore Bemporad, ebreo, e Vittoria Caniato, «ariana»; il loro destino, insieme a quello degli altri tre fratelli, è legato all’art. 8, punto d) del R.d.l. 17 novembre 1938, n. 1728:
Art. 8 […] d) è considerato di razza ebraica colui che, pur essendo nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, appartenga alla religione ebraica, o sia, comunque, iscritto ad una comunità israelitica, ovvero abbia fatto in qualsiasi altro modo, manifestazioni di ebraismo. Non è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, che alla data del 1º ottobre 1938 – XVI, apparteneva a religione diversa da quella ebraica.
Ettore Bompard, ex pretore e avvocato, cerca in tutti i modi di dimostrare che i figli sono stati battezzati e cresciuti nell’ambito della religione cattolica e quindi vanno considerati «ariani», ma per tre volte almeno i suoi ricorsi vengono respinti, e dunque i figli continueranno ad essere considerati a tutti gli effetti appartenenti alla «razza ebraica» fino alla Liberazione (queste e altre informazini sulla famiglia Bemporad sono desunte dai documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Bologna, Questura, Ufficio A.B.E.).
Ettore Bemporad nel 1940 fa anche richiesta di cambiare il proprio cognome ebraico con quello della moglie, Caniato, per tre dei suoi figli: Luisa, Paola e Massimo, nel tentativo di renderli meno facilmente individuabili come ebrei. Le informazioni raccolte sui tre fratelli forniscono alcuni dettagli su Paola Bemporad, che nel settembre del 1940 risulta essere nubile, iscritta al G.U.F. (Gruppo universitario fascista), dopo aver fatto parte della G.I.L. (Gioventù italiana del littorio) e iscritta al terzo anno della Facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Bologna.
Molto più ampie sono le notizie di cui disponiamo sulla sorella Giovanna (1923-2013), nota per la sua amicizia con Pier Paolo Pasolini e l’attività di traduttrice, proseguita fino a pochi anni dalla morte; Pasolini la coinvolge nel progetto de «Il Setaccio», su cui Giovanna pubblica varie traduzioni di poesie di Friedrich Hölderlin, Wolfgang Goethe e Euripide, firmandosi Giovanna Bembo, allo scopo di non essere facilmente identificabile come ebrea.
Giovanna Bemporad, ricordando la sua amicizia con Pasolini, scrive:
Ed è con la più grande commozione che ora mi trovo qui nella sede dell’Archiginnasio (dove ho lasciato l’immagine di me che passavo interi pomeriggi a leggere “tutti i libri”); sono commossa – dicevo – di trovarmi qui oggi a parlare del mio grande amico scomparso.
Nell’Archiginnasio che tanto amava e grazie alla malleveria del preside Chiorboli, Giovanna accede dunque al servizio di prestito.
Il 9 dicembre 1941 prende in prestito due edizioni dell’Iliade di Omero, ma l’anno successivo, dopo che Bottai ha già emanato la circolare sul divieto di accesso alle biblioteche pubbliche per gli ebrei, in maggio Giovanna Bemporad prende in prestito un libro su Friedrich Hölderlin, e in luglio l’annata 1928 del periodico «Studi italiani di filologia classica».
D’altra parte Giovanna Bemporad era in possesso di una regolare malleveria fino al 31 dicembre 1942, e il fatto che nel 1941 frequentasse regolarmente il Liceo, che la sorella Paola fosse iscritta alla Facoltà di Lettere e che il fratello Mario fosse in procinto di laurearsi in Filosofia, sta a dimostrare che nessuno di loro aveva subito l’espulsione prevista dai provvedimenti razziali che avevano lo scopo di eliminare la presenza ebraica a tutti i livelli, dalle scuole elementari all’Università. Eppure per almeno tre volte il Ministero degli Interni certifica l’appartenenza dei cinque fratelli Bemporad alla «razza ebraica»; forse i continui ricorsi del padre, esperto di questioni giuridiche, ottennero il risultato di mantenerli in una sorta di campo neutro, e in attesa delle risposte da parte del Ministero la loro vita è potuta proseguire in una condizione di relativa normalità, almeno fino ai provvedimenti dell’autunno del 1943, quando il rischio non era più l’espulsione dalla scuola, ma il campo di concentramento.
La frequentazione della Biblioteca dell’Archiginnasio e la concessione della malleveria alle due sorelle Bemporad non rappresenta però, proprio per le specificità del loro caso, una testimonianza sull’applicazione più o meno ferrea del divieto di accesso alla biblioteca dell’Archiginnasio, e semmai, proprio per questa specificità, potrebbe essere considerata soltanto un’eccezione alla regola.
In effetti, confrontando la lista delle persone che hanno avuto accesso alla malleveria tra il febbraio del 1942 (circolare di Bottai n. 1919) e la fine del novembre 1943, con uno degli elenchi degli ebrei bolognesi conservati presso il fondo A.B.E. della Prefettura, non è stato possibile individuare tra i mallevati un solo ebreo, se si escludono le due sorelle Bemporad; la Biblioteca poteva essere frequentata anche da persone che consultavano in sede e non accedevano al prestito, ma la mancanza dei registri dei lettori non permette ulteriori verifiche.