La versione integrale di questo sito è pubblicata su «L’Archiginnasio» a. CXIV (2019) .
L’eterno nemico è il titolo di un articolo antiebraico pubblicato da Giovanni Falzone sulla rivista «Il Setaccio» nel febbraio del 1943.
La vicenda di Giovanni Falzone (1906-1972) è emblematica per introdurre il tema dell’applicazione delle leggi razziali nella Biblioteca dell’Archiginnasio e della sua totale rimozione nel dopoguerra: fascista antemarcia, nel 1932 viene assunto in Archiginnasio, per poi essere comandato presso la Biblioteca popolare che nel 1929 era stata aggregata alla Biblioteca della Casa del Fascio. Nel 1941 viene nominato responsabile dell’Ufficio 4P (Preparazione Politica Professionale Propaganda) del Comando federale della G.I.L. (Gioventù italiana del Littorio) di Bologna, dove dirige la rivista «Gioventù italiana del Littorio» e dall’ottobre del 1942 la sua continuazione, «Il Setaccio», che ha tra i suoi fondatori il giovanissimo Pier Paolo Pasolini.
Su quest’ultima rivista Falzone pubblica L’eterno nemico, un concentrato delle peggiori accuse contro gli ebrei, in cui auspica la soluzione finale per il problema ebraico, che già era in atto nei territori sotto il controllo tedesco:
[…] la spada di una Nazione non sarà mai troppo tagliente ed inflessibile quando si tratta di difendere la vita e il divenire dei suoi veri figli.
Nel dopoguerra, come se nulla fosse accaduto e senza prendere in alcun modo le distanze dalla fanatica adesione al Fascismo testimoniata dai suoi articoli, si occuperà di letteratura per l’infanzia e scriverà libri per ragazzi, proseguendo la sua lunga carriera di bibliotecario dell’Archiginnasio, che si concluderà con la qualifica di vicedirettore.
Ora, dopo 80 anni di rimozione e di oblio, come spettri riemergono tra le carte dell’archivio dell’Archiginnasio, nei cataloghi cartacei e sui libri collocati negli scaffali i documenti e le tracce della censura fascista e delle persecuzioni razziali.
Non è stato del tutto sorprendente poter rintracciare circolari ministeriali e liste di libri sgraditi al Regime nell’archivio ben ordinato e ben conservato dell’Archiginnasio, che pur non essendo una biblioteca governativa era già all’epoca una delle più importanti biblioteche municipali italiane e quindi veniva sottoposta al controllo della competente Soprintendenza bibliografica, che fungeva da raccordo tra l’amministrazione centrale dello Stato, e in particolare il Ministero dell’Educazione nazionale, e le biblioteche non governative.
Non era invece scontato trovare tracce della censura libraria nel Catalogo storico Frati-Sorbelli, dal nome dei due grandi direttori dell’Archiginnasio Luigi Frati e Albano Sorbelli, e su alcuni, pochissimi libri: si tratta di tracce molto labili, quasi del tutto scomparse, poche parole scritte a matita per segnalare i libri sgraditi di cui era vietata la lettura.
Sono testimonianze ben diverse dai nitidi timbri con le abbreviazioni Lib. Sg. (libri sgraditi) presenti sui volumi della Biblioteca Universitaria di Bologna, e forse ancor più inquietanti, anche perché meno visibili e più discrete, ma che documentano lo stesso obiettivo persecutorio del Regime, che a partire dal 1934 aveva perfezionato e avviato un complesso sistema di controllo dell’editoria e di censura libraria poi messo al servizio della persecuzione razziale dopo la svolta antiebraica del 1938.
Dopo la Liberazione si preferì dimenticare il periodo delle persecuzioni e la Direzione della biblioteca si concentrò sull’imponente opera di ricostruzione dell’ala del palazzo bombardata nel gennaio del 1944, non occupandosi della cura di altre ferite, meno evidenti ma vaste e profonde, che il solo trascorrere del tempo non poteva e non ha rimarginato.
La responsabilità di quanto accaduto in Archiginnasio non ricadeva d’altra parte solo sui tre direttori che si erano succeduti negli anni dal 1938 al 1945 e che avevano più che diligentemente fatto applicare le disposizioni emanate dal governo fascista, ma per forza di cose su tutti i dipendenti della Biblioteca che a vario titolo vi avevano contribuito, in base ai propri incarichi e competenze: la complessa macchina della persecuzione per funzionare aveva bisogno della collaborazione di molti dei dipendenti della pubblica amministrazione, a tutti i livelli. E ampia era quella che Petrucciani (cfr. Storie di ordinaria dittatura, p. 437, in Bibliografia) descrive come la “zona grigia” del quieto vivere e del conformismo che riguardava buona parte dei ceti medi del paese.
Con la fine del Fascismo l’interesse comune fu dunque di rimuovere il ricordo di quei fatti, nel timore forse di epurazioni o semplicemente di mettere a repentaglio la propria carriera, e non solo in Archiginnasio, naturalmente. Lo stesso avvenne in ogni altro ambito anche a livello nazionale, così che le assunzioni di responsabilità e le epurazioni di persone compromesse con il vecchio regime si limitarono a pochi casi isolati, presto sanati, mentre in ambito storiografico il tema delle persecuzioni razziali fino agli anni Sessanta fu quasi del tutto ignorato.
Nel primo dopoguerra, ad esempio, fu pubblicato un numero unico de «L’Archiginnasio» che comprendeva le annate XXXIX-XLIII (1944-1948), interamente dedicato alla figura di Albano Sorbelli, direttore della Biblioteca dal 1904 al 1943. Ricordando la figura di Sorbelli, che fu un grande storico e bibliografo e uno dei più importanti bibliotecari italiani della prima metà del Novecento, non una sola parola fu dedicata alla vergogna delle persecuzioni razziali e non si trova un solo accenno alle pagine più buie della storia della Biblioteca. Eppure tra gli autori dei saggi dedicati a Sorbelli vi erano Domenico Fava, soprintendente bibliografico a Bologna e direttore della Biblioteca Universitaria durante gli anni delle persecuzioni e Alberto Serra Zanetti, responsabile della Segreteria e poi direttore dell’Archiginnasio dal 1944, che ben conoscevano tutte le vicende legate alla censura e alle norme antiebraiche. Purtroppo in questa raccolta di scritti dedicati a Sorbelli non hanno trovato posto quelle poche parole di scuse che avrebbero perlomeno avuto il merito di evitare la totale rimozione dei terribili avvenimenti accaduti solo pochi anni prima.
L’occasione propizia per affrontare il tema della censura e delle persecuzioni razziali si è di nuovo presentata nel 1994, quando la Biblioteca dell’Archiginnasio ha organizzato una giornata di studi in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Sorbelli, ma purtroppo anche durante questo incontro si è evitato di parlare degli anni bui della Biblioteca, nonostante fossero trascorsi quasi 50 anni dalla fine della guerra.
Nelle riflessioni finali della giornata di studi su Sorbelli si evidenziò in maniera del tutto condivisibile la sua grande figura di bibliotecario e di uomo di cultura, un esempio ancora valido per ogni bibliotecario, ma non si affrontò l’importante questione di ʻSorbelli politicoʼ, in camicia nera,
che tesse rapporti ai più alti livelli della gerarchia fascista per portare a termine i propri progetti professionali e editoriali. Si sconta ancora, forse, il timore di intaccare la fama e l’opera di Sorbelli, che rischia così una sorta si santificazione, limitando di fatto la conoscenza a tutto tondo della sua grande e complessa figura di bibliotecario e di intellettuale, fatta di luci ma anche, evidentemente, di ombre.
Albano Sorbelli fu un sostenitore convinto del Fascismo, che considerava come la naturale continuazione e il completamento del periodo risorgimentale. Si iscrisse al P.N.F. solo nel 1932, quando vennero riaperte le iscrizioni al partito in occasione del Decennale della marcia su Roma, e ricoprì incarichi nelle organizzazioni fasciste, divenendo tra l’altro fiduciario per l’Emilia della Sezione Biblioteche dell’A.F.S. (Associazione fascista della scuola). Nelle relazioni al Podestà pubblicate su «L’Archiginnasio», le sue parole a sostegno del Fascismo non sembrano di circostanza, ma dettate da una sincera e convinta adesione. Così nella Relazione del 1940, scritta in giugno dopo l’entrata in guerra dell’Italia, Sorbelli conclude con queste parole:
Mentre scrivo, l’Italia che era stata coll’armi al piede quando la sua alleata combatteva in Polonia, in Danimarca, in Norvegia, nel Belgio e in Francia, è entrata nella lotta, per la sua libertà, per la sua indipendenza, per la rivendicazione delle sue terre e dei suoi diritti, per la riunione di molti connazionali che da secoli aspettano l’ora della giustizia e della indipendenza colla madre Patria. Da parte il libro, ora, e venga il moschetto! Dio protegga l’Italia, il suo diritto, il suo destino!
Questa e altre attestazione di sostegno al Regime fascista vengono scritte da Sorbelli per pubblicazioni propagandistiche o all’interno delle relazioni annuali al Podestà dedicate al funzionamento della biblioteca, e potrebbero anche essere considerate come il dovuto omaggio, di circostanza, di un alto funzionario nei confronti del gerarca o del podestà di turno, ma anche in altri scritti rivolti ad un pubblico più raccolto di soli studiosi, c’è sempre spazio anche per una frase dedicata ai successi del Fascismo e alla fondazione dell’Impero, a testimonianza dell’importanza che ha per Sorbelli una forte componente nazionalista che vede in Mussolini il fautore della tanto auspicata grandezza della Patria.
L’adesione al Fascismo porta Sorbelli ad ottemperare a quanto disposto dalle superiori autorità con disciplina e rigore e, a volte, con un eccesso di zelo, fino ad anticipare di propria iniziativa, come vedremo, decisioni che non gli erano state ancora ufficialmente formalizzate, riguardanti anche l’ambito dei provvedimenti antiebraici.
Manca ancora però uno studio approfondito sul rapporto tra l’attività di Sorbelli e il Fascismo, anche se alcune linee guida sono già state tracciate; nel presente saggio sulla censura e l’applicazione delle leggi razziali in Archiginnasio, anche se non incentrato su Sorbelli e il suo legame con il Fascismo, compaiono alcune nuove testimonianze, provenienti in particolare dai documenti conservati nell’archivio della Biblioteca, che potrebbero fornire nuovi elementi utili alla ricerca.
Questo viaggio tra le carte dell’archivio della Biblioteca alla riscoperta di avvenimenti dimenticati, ci mette di fronte a una realtà di cui non sempre si è consapevoli, e che non può non turbare: l’orrore delle persecuzioni si è manifestato anche qui in Archiginnasio e tracce di quell’orrore sono ancora nel catalogo che viene consultato ogni giorno, e nei libri conservati sugli scaffali. Ed erano dei bibliotecari ad attuare le disposizioni che venivano emanate dalle autorità fasciste, persone amanti dei libri, della cultura e di questa grande biblioteca, l’Archiginnasio, che non si può permettere oltre di dimenticare.