Il poema di Dante ottiene sin dall’inizio uno straordinario successo, come mostrano le decine di manoscritti copiati già nei primi anni dopo la morte del poeta. Inoltre viene percepito come un testo di tale importanza e difficoltà da dover essere accompagnato da un commento, come avveniva per i grandi libri dei classici.
Già nel 1322 il figlio Iacopo stende un commento in volgare all’Inferno.
A Bologna viene realizzato negli anni ’20 da Graziolo Bambaglioli il primo commento in latino, al solo Inferno.
Sempre a Bologna Iacomo della Lana porta a compimento fra il 1324 e il 1328 il primo commento all’intero poema. È un commento nato nell’ambito della cultura universitaria, benché scritto in volgare e con intento divulgativo: di qui l’attenzione ai contenuti dottrinali ed enciclopedici e la tendenza a offrire vere e proprie lezioni universitarie sui vari argomenti toccati nel testo. Inoltre offre una coerente interpretazione allegorica del poema, in cui il protagonista rappresenta la specie umana in generale, Virgilio la ragione, Beatrice la teologia, ma limita questa lettura ai primi canti per poi concentrarsi invece sul senso letterale.
Questo commento ebbe anche il privilegio di essere il primo a essere stampato, nell’edizione Vindelina del 1477, ma in questa prima stampa il commento del Lana veniva attribuito erroneamente al più famoso Benvenuto da Imola, autore di un importante commento tardo-trecentesco in latino, di impronta ormai quasi umanistica.
Anche l’altro figlio di Dante, Pietro, scrive negli anni ’40 un ampio commento in latino all’intero poema, di cui ci sono rimaste tre redazioni, in cui esibisce una cultura che deriva principalmente dalla propria formazione giuridica e che si muove in direzione di un allegorismo moralizzante.
Tra tanti commenti trecenteschi merita una menzione quello iniziato da Giovanni Boccaccio, interrotto però a causa della malattia nel 1375. Il grande scrittore è autore anche di una importante biografia di Dante, nota con il titolo di Trattatello in laude di Dante.
Il Trattatello venne stampato insieme al commento di Lana nella famosa edizione Vindelina del 1477.
Un caso particolare della fortuna tardo-trecentesca è quello della traduzione in esametri latini realizzata dal monaco benedettino olivetano Matteo Ronto, completata intorno al 1392 a Pistoia. L’autore si dice mosso dal desiderio di rendere universalmente accessibile la poesia dantesca. Ma la sua versione, priva dell’eleganza del latino umanistico, rimase inedita ed è testimoniata da un numero limitato di manoscritti.