Cosa dire nelle prediche?
Anche se i racconti agiografici parlano di folgoranti ispirazioni, un buon sermone non si improvvisa. Di questo erano certi i predicatori tardomedievali. Proprio a supporto di un rinnovato sforzo pastorale si sviluppò e diffuse enormemente un tipo di libro tagliato sulle loro esigenze: le collezioni di sermoni modello, da adattare alle diverse occasioni. Frutto dell’esperienza accumulata da predicatori particolarmente navigati, i sermonari divennero ‘strumenti’ imprescindibili per i professionisti della parola.
Il loro successo poteva attraversare i secoli: i sermoni del domenicano Jacopo da Varazze († 1298), l’autore della Legenda aurea, furono diffusi prima in centinaia di manoscritti e poi da un fiume di libri a stampa.
Nei sermoni era poi fondamentale commentare la Bibbia: ecco allora che i testi di un famoso esegeta come Nicolas de Lyre († 1349) vennero riorganizzati sulla base di tale esigenza.
Non mancava inoltre il desiderio di modelli nuovi, adatti al mutare dei tempi, come quelli del frate minore e poi vescovo Roberto Caracciolo († 1495), all’epoca notissimo. Se i suoi sermoni latini vennero stampati in tutta Europa, egli fu tra i primi a stampare sermoni anche in volgare.
Si rispondeva così alle richieste di un mondo di lettori e lettrici in forte crescita. Nelle sue dediche Caracciolo si rivolge alla corte di Napoli, ma le note di possesso parlano anche di semplici laici o suore (la copia in mostra appartenne a una suora di Bologna).
Il pubblico si era ampliato. Consapevole di questo, Ludovico Pittorio († c.1525) presenta le sue omelie (nate per una confraternita) come nutrimento dello spirito per le monache e libro da avere in ogni casa cristiana; e davvero il suo fu tra i libri più letti del Cinquecento.
Il frontespizio di alcune prediche di Savonarola, stampate a Bologna, illustra poi il processo editoriale, rallegrandosi di come «tanto prezioso tesoro sia finalmente venuto alla luce» e segnalando la novità ai lettori. Certi autori erano ormai attesi.