Come modello di santo predicatore, il libro di Leandro Alberti raffigura Vicent Ferrer (1350-1419), un frate domenicano che, partendo dalla Spagna (come Domenico), aveva predicato in mezz’Europa.
Dotato di straordinarie capacità comunicative, Ferrer miscelava concretissimi appelli alla conversione, annunci sulla nascita dell’Anticristo, minacce sulla prossimità del giudizio finale. Venne quindi rappresentato spesso mentre indica Cristo giudice, come in un’edizione veneziana dei suoi sermoni, vero bestseller tra Quattro e Cinquecento. Anche a Bologna, città in cui era passato, venne così ritratto al centro del Polittico Griffoni: i suoi sermoni in una mano, mentre con l’altra indica il giudice eterno.
La canonizzazione di Ferrer (1455) era la risposta domenicana al nuovo santo dei frati minori, Bernardino da Siena (1380-1444), più giovane ma canonizzato assai più celermente (1450). Agiografi e frati presentavano i due predicatori come il provvidenziale rinnovarsi del binomio Francesco/ Domenico, inviati da Dio per convertire il mondo e ravvivare la fede. E se il marmo della facciata di San Petronio riproduce i due fondatori degli Ordini, sui pilastri della navata centrale vennero dipinti, nel 1467, i due santi più recenti.
Bernardino e Ferrer simbolicamente rappresentavano le nuove colonne della Chiesa, avendo rinnovato l’arte della predicazione. Una comunicazione, la loro, fatta non solo di parole, ma anche di immagini, gesti e rituali, capaci di muovere le emozioni e imprimersi nella memoria. Il frontespizio delle opere di Bernardino lo mostra con in mano il trigramma del nome di Gesù (IHS), proposto ai fedeli come centro di devozione e vero e proprio logo, con valenze anche politiche. Nonostante a Bologna fosse infuriata una feroce disputa sulle forme di tale devozione, essa si diffuse enormemente.
Nei medaglioni che raccontano la vita di Bernardino, un posto speciale è riservato al falò delle vanità.
Nelle sue prediche, Bernardino invitava gli ascoltatori a portare i simboli e gli strumenti del peccato (libri, amuleti, parrucche, carte da gioco…) per bruciarli in un pirotecnico rito di purificazione. Anche nel cuore di Bologna, in piazza, nel 1424 si svolse lo spettacolare evento.
Tali tecniche vennero riprese e diffuse da compagni e discepoli. Giovanni da Capestrano (1386-1456), anzi, le esportò all’estero, suscitando grande impressione. Sul frontespizio dei suoi sermoni, egli è però raffigurato con un altro supporto visivo, lo stendardo ‘crociato’, a ricordo del ruolo avuto nel mobilitare e guidare la lotta contro i Turchi nei Balcani.
I suoi sermoni parlano di una battaglia spirituale contro i vizi, ma il frate fu coinvolto in scontri ben più reali.
Se Bernardino e Ferrer codificavano una santità incentrata sulla parola efficace, il modello ultimo del predicatore era la Sapienza stessa. Lo raffigura perfettamente un’immagine della Nave dei folli (1494), satira morale che denuncia le follie di ogni categoria sociale. Sul pulpito vediamo una donna angelicata, benedetta dalla mano di Dio, con in capo la corona e in mano la croce sormontata dallo Spirito. È sotto al pulpito che – accanto ad ascoltatori attenti – troviamo alcuni folli, riconoscibili dal berretto a sonagli, incluso un frate. La comunicazione è sempre un processo collettivo: non basta il predicatore.