Pizzicarolo

Eccolo mercanteggiare carne suina, cotta come cruda, salata o condita per salsicce, mortadelle, prosciutti e salami, sanguinacci o più esattamente migliacci, per intenderci. Questa leccornia somigliava a una torta, impastata col sangue del maiale disfatto e soffritto in padella. Il termine migliaccio ricorda che anticamente s’usava miglio brillato; proprio come oggi i contadini fanno torte nella teglia che chiamano migliacci o altre di farina di castagne dette castagnacci.
Angelo Dal Forte, su licenza della Compagnia dei Salaroli, poté esercitare l’arte del lardarolo, pizzicarolo, garzolaro, linaruolo, pollarolo e speltino in città e nel contado. Comprava e rivendeva carne salata, olio, lardo, formaggio, candele di sego, grasso, tonina, biade per animali, olio, semente di lino, legumi, lupini, capestri, corde o lanze, aste stuore, conche, remolo, saponi conforme agli Statuti.
Il pizzicarolo poteva smerciare prodotti vari circa quanto il salarolo; mancandogli nell’elenco solo alcune voci: farina e lavori di pasta, uova, pollami, uccellami, salvaticine, stare, sporte, granate e granadelli. Se tra una bottega e l’altra la legge della Compagnia prescriveva una distanza d’almeno trenta piedi bolognesi, all’ambulante tale prescrizione non toccava; solo, s’atteneva ai prezzi decisi dal Massaro (secondo la perizia scritta nel cartello esposto sulla merce) riguardo le modalità per vender lardi, carni porcine, salami, mortadelle inferiori o tareggiate; badando a non investire mortadelle entro budelli denominati zae, né tanto meno budelli gentili.

Incisione all’acquaforte tratta da: Annibale Carracci, Le arti di Bologna disegnate da Annibale Caracci ed intagliate da Simone Guilini coll’assistenza di Alessandro Algardi … , Roma, Gregorio Roisecco, 1740
Collocazione: 16. a. I. 39

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