Molinaro

Più propriamente cavallaro, conducente i sacchi di farina dal molino al forno. Mentre l’animale riposava dinnanzi a un secchio di remolo, il molinaro scaricava la farina nella buratteria con buona lena già sapendo che qui il fornaio non avrebbe lesinato pane e vino. Erano tempi di carestia: il Reggimento provvedeva all’elemosina di pane e aveva deputato due fornai per quartiere a distribuire quotidianamente quattro pani per ciascun povero. A esclusione del forno dell’abbazia di Santo Stefano, per gli infermi e i forestieri era ammesso un solo tipo di pane venale, aborrendo l’introduzione dei ruzzoli.
Nel 1539, un tale Alberto Rosini otteneva la privativa di fare una terza specie di pane, detto alto (alto, due once di più al bolognino; grosso da massaria, due once di meno), dovendo contribuire giornalmente a sfamare le “putte” di San Gregorio, quelle del Baraccano e gli orfani di San Bartolomeo, pari a ventidue quartiroli di tridello e once ventidue di farina impastati, da ripartire tra essi.
Il molinaro andava a giorni alternati all’abbazia di Santo Stefano e al forno di Musiano. Qui infornavano pane d’once due meno il bolognino, quindi un unico pane (detto bianco) che poi non era tutto fior di farina tant’è ch’era di due once meno del bolognino di differenza dall’altro detto di scaffa, «esclusivo per infermi e nobili che abitassero in campagna; non per rustici e lavoranti (perché poco sostanzioso)».
Solo i forni della Samoggia, di Mont’Alto e un altro detto dell’Oca potevano fare pane bianco e venderlo agli osti, ai postiglioni da servire ai forestieri, «come fa ora il forno di Crevalcore dipendente dall’abbazia di Nonantola, che manda nel bolognese, nei Castelli e terre vicine, come San Giovanni, Sant’Agata».
Nel 1606, ben accetto alla Compagnia dei fornari, venne instaurato il calmiere e decisa la fabbricazione di pane bianco, bello, ben custodito, utile alla plebe impossibilitata ad acquistare grano e farina. «Tanto meno si venda pane di trinello o di semola, essendo troppo rigido e di scarso nutrimento». Ai fornai da scaffa si proibì far più d’una specie di pane, così gli avanzi del fior di farina non sarebbero finiti nel pane comune.

Incisione all’acquaforte tratta da: Annibale Carracci, Le arti di Bologna disegnate da Annibale Caracci ed intagliate da Simone Guilini coll’assistenza di Alessandro Algardi … , Roma, Gregorio Roisecco, 1740
Collocazione: 16. a. I. 39

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