La ricerca storico-artistica e umana di Arcangeli culmina nel 1972 con la pubblicazione del saggio scritto in occasione della mostra sul Romanticismo inglese che si tenne al Petit Palais di Parigi in cui egli riesce finalmente a tenere insieme il filo rosso che lega l’arte informale, l’impressionismo e l’arte romantica. Si tratta di un viaggio a ritroso che non si limita a constatare la continuità di temi, forme e tecniche tra i diversi periodi ma scava in profondità per riuscire a cogliere la sopravvivenza di una forza indefinibile su cui si fonda l’essere umano, tra logica e percezione, tra progettazione e imprevedibilità, tra illusione e disperazione. Infatti, Arcangeli definisce la rivoluzione postcopernicana dello “spazio romantico” – soprattutto in relazione ai dipinti di Turner – come «uno spazio che può arrischiare l’indagine […] dell’immensità dell’universo non più autocentrata dall’uomo proprio perché, nello stesso tempo, presuppone una esplorazione interiore che non conosce limiti».
Tra fine Settecento e inizio Ottocento, il fallimento dell’antropocentrismo – cioè il concetto classico dell’uomo come misura di tutte le cose – risulta evidente prima ancora nelle arti che nella speculazione filosofica, perché lo spazio rappresentato può mostrare con maggiore efficacia all’uomo la sua irrilevanza difronte all’immensità dell’universo e la vanità di qualsiasi tipo di volontà di dominio sulla natura. All’uomo non può essere sufficiente un rapporto razionale con la natura, un metodo scientifico che lo illuda di poter conoscere davvero il mondo, ma necessita di un rapporto empatico e “sentimentale” con ciò che lo circonda. A partire da Schlegel e Schelling, Arcangeli fornisce una lettura dinamica del romanticismo in quanto sistema di valori in divenire che non approda a nuove certezze ma apre verso una spazialità indefinita e indefinibile, come aveva ben capito Leopardi per l’Italia o Keats per l’Inghilterra. Coscienza e spazio non sono più parametri che indicano un equilibrio ma rivelano una «apparizione sospesa su un inconoscibile». Arcangeli cerca di ritrovare, nel rapporto vita e natura, la giustificazione di una visione dell’arte e del mondo che tenga insieme gli opposti: da una parte «l’espressione di una pena quotidiana, famigliare e vicina», dall’altra un irraggiungibile «al di là». Sono i due poli di Constable e Manzoni e di Turner e Leopardi.
Siamo nel cuore dell’epoca del consumismo e della mercificazione: Arcangeli cerca disperatamente un principio di salvezza che rimetta in contatto l’umano con la vastità dell’universo. E lo fa negando la centralità dell’uomo ma salvando il suo rapporto con la Natura intesa come forza creativa capace di risorgere anche là dove sembra ormai cancellata. Parla così anche della sua posizione di “anarchico”, sempre rivendicata con riferimento all’Uomo in rivolta di Camus. Anarchia significa non abbandono all’irrazionale ma «senso profondo del limite dell’uomo».