Gli inizi di Francesco Arcangeli si collocano nella scrittura in prosa e in poesia. Alla fine degli anni ‘30, Arcangeli raccoglie in un grande quaderno rosso cartonato una serie di prose e di componimenti in versi: alcuni di questi verranno pubblicati in rivista e copriranno l’attività di un decennio. Quando avviene l’incontro con l’arte, attraverso la mediazione di Roberto Longhi, Arcangeli avrà a sua disposizione un linguaggio, delle immagini, delle metafore da usare nella lettura dei quadri.

Affiora così il rapporto a cui Arcangeli rimarrà fedele fino alla fine, con la mostra del 1970 Natura ed espressione nell’arte bolognese-emiliana: la Natura, cioè il mondo che viene rappresentato, e l’Espressione, cioè il linguaggio che serve a rappresentarlo, le immagini, e dietro le immagini la forza della scrittura. Una “correlazione esistenziale” lui la definisce. Ma Natura ed Espressione vogliono dire molto di più. Natura è tutto ciò che vive, senza requie, dentro e fuori l’uomo, Espressione è la varietà delle forme che nei loro rapporti creano la Storia, di cui l’Arte è una componente.

Arcangeli è stato uno storico dell’arte ma ha incarnato, con la sua avventura di intellettuale, una complessa visione del mondo. Quando vede gli Impressionisti a Venezia (1948), capisce che i grumi di colore, le ombre, lo spazio non più prospettico vogliono riprodurre il movimento inarrestabile della materia, compreso l’uomo che ne fa parte. Natura naturans, dirà citando Spinoza, cioè natura che ricrea incessantemente se stessa. Per questo Arcangeli non abbandonerà mai la lingua della poesia, e i poeti saranno per lui ineguagliabili portatori di invenzione espressiva, da Montale a Dylan Thomas.

Vibrazione e osmosi tra uomo e universo: questa immagine caratterizza la lettura degli Impressionisti e poi torna, con continue variazioni, a proposito dei pittori informali e, infine, dello spazio romantico. Diventerà negli anni “vertigine”, perdita dei limiti, “dramma cosmico”. “Area di trauma” arriverà a dire, cioè zona dove la mente umana non riconosce più punti di appoggio.

Per Arcangeli la Storia è un susseguirsi di questi traumi: Wiligelmo, Lodovico Carracci, Turner, Pollock, Morandi: ogni quadro diventa una forma diversa del trauma, e quindi la tappa di un incessante “tramando”, cioè un passaggio di cultura, nascosto dalle categorie della vecchia critica ufficiale. Per questo Arcangeli è stato anche un grande irregolare, un anarchico, come amava dire di sé.