Gli ebrei a Bologna

Dalla Statistica della popolazione dello Stato Pontificio dell’anno 1853 compilata nel Ministero del Commercio e lavori pubblici, Roma, dalla tipografia della rev. cam. apostolica, 1853, p. 24, risulta che il Comune di Bologna nel 1853 aveva 74.421 abitanti: si tratta della popolazione all’interno delle mura, senza quindi considerare i vari appodiati che circondavano la città (Alemanni, Fossolo, Arcoveggio, Corticella etc., p. 25), che facevano salire a 96.558 il numero complessivo degli abitanti.

La presenza di ebrei in città è ridottissima: nel 1853 vengono censiti solo 92 persone, 57 maschi e 35 femmine, mentre gli acattolici sono soltanto dieci (cfr. p. 281), su una popolazione complessiva di 96.558 abitanti in Bologna e appodiati.

 

 

Il portone della casa di via de’ Gombruti, n. 1140, dove fin dalla prima metà dell’Ottocento si svolgevano le ufficiature della comunità ebraica bolognese.

Al primo censimento effettuato dopo l’Unità d’Italia, gli ebrei presenti a Bologna risultano essere 229 (136 uomini e 93 donne), per lo più dediti alle attività bancarie, al commercio del grano e della canapa; gli ebrei analfabeti presenti nella comunità bolognese sono solo il 5,8%, a fronte della media nazionale degli analfabeti presenti nella popolazione italiana del 64,5%.

 

La presenza di ebrei a Bologna potrebbe risalire ai secoli II e IV d.C., ma è priva di attestazioni documentarie. A partire dal XIV secolo è invece documentata la presenza stabile di un nucleo proveniente da Roma e dall’Italia centrale dedito prevalentemente alle attività di prestito su pegno e di commercio degli stracci.
In assenza di vincoli che imponessero loro la dimora in zone precise, pur avendo proprietà e beni in diverse aree della città e del contado, risiedevano principalmente nella zona delle attuali Porta Ravegnana, piazza della Mercanzia e via S. Stefano.

 

 

 

 

 

 

Sigillo in uso dell’inquisizione di Bologna.
Miscellanea di carte del S. Uffizio di Bologna. Ms. B.1894

Il passaggio di Bologna ai territori pontifici, all’inizio del XVI secolo, peggiorò la condizione degli ebrei. Con una serie di Bolle pontificie gli ebrei furono prima rinchiusi nei ghetti appositamente istituiti e, successivamente, salvo un breve periodo in cui furono riammessi, espulsi definitivamente dalle città dello Stato della Chiesa ad eccezione di Roma e Ancona. A Bologna il ghetto si trovava fra via de’ Giudei, via del Carro e vicolo Tubertini e fu in funzione dal maggio del 1556 all’espulsione del 1569. Gli ebrei bolognesi espulsi furono circa ottocento e dovettero anche versare la somma di 40.000 scudi prima di lasciare la città.

Le cose cambiarono radicalmente con l’arrivo nel 1796 delle truppe napoleoniche che abolirono le norme che discriminavano gli ebrei: con un proclama del generale Saliceti agli ebrei bolognesi venne garantita la libertà di culto e poterono stabilirsi nuovamente a Bologna. I nuovi arrivati, che provenivano soprattutto da Modena, Reggio Emilia e Cento, si stabilirono prevalentemente nelle zone delle attuali piazza Malpighi, via delle Lame e via Marconi. Dalla prima metà del XIX secolo la comunità ebraica bolognese teneva le sue funzioni in un oratorio presso l’abitazione del centese Angelo Carpi in via de’ Gombruti.
La restaurazione del governo pontificio riportò in vigore le norme discriminatorie per gli ebrei che rimasero a Bologna, più tollerati che accettati. Anche se nelle Legazioni non erano applicate quelle misure draconiane che sopravvivevano a Roma, esistevano comunque disposizioni vessatorie come l’obbligo di assistere alle prediche conversionistiche. Agli ebrei era inoltre proibito avere domestici cristiani, anche se il divieto era in larga parte disatteso non solo perché la manodopera cristiana era molto più numerosa, ma anche per il vantaggio che derivava dal fatto che domestici e domestiche non ebrei lavorassero di sabato, lo Shabbath, il giorno dedicato interamente al Signore, in cui gli ebrei non potevano svolgere alcuna attività.

Non stupisce quindi che nella comunità ebraica fossero diffuse le simpatie verso le idee risorgimentali e che alla battaglia della Montagnola dell’agosto del 1848 parteciparono diversi ebrei.

Dopo il 1849 la condizione degli ebrei dello Stato pontificio si inasprisce ulteriormente e le pressioni per favorire le conversioni si moltiplicano, mentre la sorveglianza sulla comunità diviene sempre più rigida: in questo clima si inserisce la vicenda di Edgardo Mortara.
La comunità ebraica non poteva che essere favorevole al nuovo regime
instauratosi dopo la caduta del governo pontificio, che già il 10 agosto 1859 emise un decreto per affermare l’eguaglianza religiosa. Il 3 marzo 1860 venne estesa nell’ex Stato della Chiesa la legge Rattazzi (4 luglio 1857), regolante la vita delle comunità israelitiche nel Regno sabaudo. Nel 1864 si costituirà l’Associazione Volontaria Israelitica di Bologna.

 

I documenti

 

Costitutioni, ordini, et leggi della Casa de’ cathecumeni di Bologna , riformati l’anno 1593,
In Bologna, per Giouanni Rossi, 1595.
17.Storia ecclesiastica. Cart. G., n. 12.
(insegna della casa dei catecumeni sul frontespizio, circondata da fregio xilografico).

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La prima Casa dei catecumeni venne fondata a Roma nel 1543: nella Casa erano condotti i non cristiani che volontariamente o contro la loro volontà erano destinati ad essere battezzati, dopo un periodo di istruzione ai principi cristiani. Anche a Bologna era stata aperta una Casa dei catecumeni, per iniziativa del cardinale Gabriele Paleotti (1522-1597), vescovo di Bologna dal 1565 e arcivescovo dal 1583. Il cardinale Paleotti istituì la Casa dei catecumeni nel 1568, su disposizione di papa Pio V, facendo acquistare alcune case nei pressi del Baraccano, in via S. Stefano, assegnando alla congregazione anche una rendita annua di 750 scudi, mentre a Roma, dove era presente una nutrita comunità ebraica, erano gli stessi ebrei ad essere costretti al mantenimento dell’istituto.
A p. 21-22 della pubblicazione si trova il cap. XIII, Del battesimo de’ fanciulli e il cap. XIIII, De’ neofiti adulti.

 

Benedetto XIV, Sopra il battesimo degli Ebrei o infanti o adulti [28 febbraio 1747], in Sanctissimi domini nostri Benedicti papae XIV. Bullarium Tom. II …,
Romae, Typis Sacrae Congregationis de Propaganda Fide, 1749, p. 186-237.
6.XX.I.11.

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Il papa bolognese Benedetto XIV, al secolo Prospero Lambertini (1675-1758), ha un ruolo rilevante nella comprensione del “caso Mortara”, in quanto autore di due importanti documenti che condizionarono a lungo l’atteggiamento dei pontefici successivi sul tema dei battesimi forzati e delle conversioni. Nei riguardi degli ebrei manifestò in generale posizioni molto rigide, che contrastano con l’immagine benevola che si è imposta a livello popolare grazie alla commedia Il Cardinale Lambertini di Alfredo Testoni.
La prima lettera di Benedetto XIV, insieme ad un’altra sua lettera datata 15 dicembre 1751, risulta citata dalla maggior parte di coloro che fin dal 1858 si sono occupati del “caso Mortara”, perché tratta ampiamente e dettagliatamente dei vari casi in cui è previsto il battesimo degli ebrei, di qualsiasi età e in ogni circostanza.
Vengono presi in esame vari casi, ad esempio quello di un padre, ebreo convertito, che vuole battezzare il figlio contro la volontà della madre ebrea; e ancora, il caso di un nonno che intende far battezzare i propri nipoti contro la volontà dei genitori. Nella lettera si ribadisce comunque che il battesimo è sempre valido, anche quando non sarebbe lecito, per esempio nel caso che venga impartito contro la volontà dei genitori: il criterio applicato nelle due lettere di Benedetto XIV vede sempre il prevalere del favor fidei, rispetto ai diritti spettanti ai genitori.

Benedetto XIV, Sopra l’offerta Fatta dall’Avia Neofita di alcuni suo Nipoti infanti Ebrei alla Fede Cristiana [15 dicembre 1751], in Sanctissimi domini nostri Benedicti papae XIV. Bullarium Tom. III i…,
Romae, Typis Sacrae Congregationis de Propaganda Fide, 1753, p. 417-442.
17.T.I.12.

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Questa lettera di Benedetto XIV, insieme alla precedente datata 28 febbraio 1747, risulta citata dalla maggior parte di coloro che fin dal 1858 si sono occupati del “caso Mortara”, perché riprende il tema dei vari casi in cui è possibile conferire il battesimo agli ebrei, di qualsiasi età.
In particolare nella lettera si affronta il caso, non previsto dalla lettera del 1747, di una nonna convertita che intende battezzare un nipote contro la volontà dei genitori e dei tutori ebrei: anche in questo caso il battesimo viene ammesso.

Sagre significazioni della messa detta de’ catecumeni, [1775-1800] (pubblicato presumibilmente a Bologna nell’ultimo quarto del sec. XVIII, come si evince dall’analisi del materiale tipografico).
2. Liturgia. Cart. III., n. 8.

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In questo raro opuscolo viene descritta minuziosamente una messa speciale, detta de’ Catecumeni. Con il termine Catecumeni si indicano persone in attesa di essere battezzate, ma proprio per il fatto di non avere ancora ricevuto il battesimo, non possono partecipare alla fase finale della messa, quella della Liturgia eucaristica, e quindi sono tenute ad uscire dalla chiesa al termine della prima parte, la cosiddetta Liturgia della parola, che un tempo si chiamava appunto messa dei Catecumeni.

 

Editto sopra gli ebrei,
in Bologna, nella Stamperia del Longhi, 1733. XXXI: Che gli ebrei non possano tenere Servidori, o Serve cristiane, né farsi servire
Miscellanea di carte del S. Uffizio di Bologna, n. 71. Ms. B.1894.

L’Editto sopra gli ebrei del 1733, firmato dal cardinale Prospero Lambertini (1675-1758), dal 1731 arcivescovo di Bologna, e dal 1740 papa con il nome di Benedetto XIV, elenca 54 disposizioni relative agli ebrei.
Si tratta di un’impressionante serie di divieti, limitazioni e discriminazioni, tra le quali, al punto XXXI, il divieto per gli ebrei di assumere servitori cristiani. Le autorità ecclesiastiche sapevano che questo divieto era spesso violato, perché le famiglie ebraiche per poter rispettare i precetti della loro religione non potevano svolgere alcuna occupazione durante lo shabbath, e quindi necessitavano di domestici e domestiche cristiane. D’altra parte le autorità chiudevano un occhio, perché si trattava comunque di posti di lavoro preziosi, in particolare per le ragazze povere del contado.
Eppure sarà proprio il mancato rispetto di questo divieto da parte della famiglia Mortara, a fornire uno degli argomenti più utilizzati a sostegno delle ragioni favorevoli al “ratto” del piccolo Edgardo: in sostanza, la colpa ricadeva sugli stessi genitori, che assumendo una domestica cattolica si erano esposti al rischio del battesimo del proprio figlio. Le Leggi razziali emanate nel 1938 riproposero il divieto, incentrato sulla distinzione di “razza”:
Gli appartenenti alla razza ebraica non possono avere alle proprie dipendenze, in qualità di domestici, cittadini italiani di razza ariana.
(R.D.L. 17 novembre 1938, n. 1728, Provvedimenti per la difesa della razza italiana).

 

Miscellanea bolognese, Bandi politici riguardanti Bologna e la Romagna, 10 agosto 1859, 93 (n. 149).

Il Governatore Luigi Carlo Farini decreta che nelle Romagne tutti i Cittadini, senza distinzione di culto, e quindi anche gli ebrei, sono eguali dinanzi alla legge, e nell’esercizio dei diritti politici e civili.

Vittore Ravà, Gli ebrei in Bologna. Cenni storici,
Vercelli, Tip. Guglielmoni, 1872.
17-CIV.POL MEMORIE BOL. A.2, 43.

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L’ingegnere Vittore Ravà scrive nel 1872 una delle prime storie degli ebrei a Bologna, dall’epoca romana alla fine del dominio pontificio. Proprio nelle ultime pagine (p. 24-25), Rava tratta del “caso Mortara”, come ultimo atto della tirannide clericale. Interessante l’ultima pagina (Nota H), con informazioni sulla comunità ebraica a Bologna e con i dati dei censimenti del 1861 e del 1871.

 

Emilio Castelar, Ricordi d’Italia,
Firenze, Tip. della Gazzetta d’Italia, 1873.
18. B. Arti Guide Ital. 7, 14.

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Emilio Castelar (1832-1899), letterato, storico e politico spagnolo di idee democratiche e repubblicane, viaggiò in Italia negli anni sessanta dell’Ottocento, scrivendo impressioni di viaggio che vennero pubblicate in Spagna nel 1872 e tradotte in italiano, per la prima parte, nel 1873.
Di particolare interesse per il tema ebraico è il capitolo intitolato Il Ghetto, nel quale Castelar descrive le terrificanti condizioni di degrado in cui sono costretti a vivere gli ebrei romani (p. 96):
I piedi si immergono in un molle strato di escrementi che paiono letti di porco o di ippopotamo […].
Castelar ironizza anche sulla descrizione di Roma data da Luigi (Louis) Veuillot (1813-1883), lo scrittore francese acceso sostenitore di Pio IX e difensore del suo operato nel “caso Mortara”:
[…] e bisogna davvero turarsi molto bene le narici per non aspirare quegli aromi spirituali che inebriano l’anima pietosissima di Luigi Veuillot.
Nel descrivere la condizione degli ebrei romani, che Castelar ammette di essere migliorata sotto il pontificato di Pio IX, non poteva mancare un accenno al “caso Mortara” (p. 100):
[…] la prova che la legislazione dei papi ammette tuttora delle crudeltà incomprensibili, si riscontra nel fatto del celebre fanciullo ebreo battezzato furtivamente per opera di una fanatica serva […].

Francesco Ferdinando Jabalot, Degli ebrei nel loro rapporto colle nazioni cristiane …,
Roma, presso Vincenzo Poggioli, 1825, estratto dal t. III del «Giornale ecclesiastico di Roma».
Malvezzi 140/16.

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Lo scritto di Jabalot, citato da più parti (si veda ad esempio Kertzer, Antisemitismo…, 2006, p. 50-51) come esempio della campagna antiebraica condotta dalla Chiesa dopo la Restaurazione, termina con queste parole:
…mai e poi mai potranno essere i giudei cittadini fra i cristiani, se prima cristiani non diventano eglino stessi, la fede abbracciando di Cristo Gesù.

 

Giovanni Vicini, Causa di simultanea successione di cristiani e di ebrei ad intestata eredita di un loro congiunto. Voto consultivo dell’avvocato Giovanni Vicini,
Bologna, coi tipi del Nobili e comp., 1827.
6.F.F.III.31, op. 1.

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Nel ricostruire la condizione degli ebrei a Bologna dopo la restaurazione, David Kertzer nel suo Prigioniero del Papa Re, dedicato al “caso Mortara”, tratta in alcune pagine la vicenda di una eredità contesa: Giuseppe Levi, un ebreo convertito, muore nel 1826 senza lasciare un testamento; dei suoi tre fratelli uno, Felice, si era convertito, mentre gli altri due, Abraham e Angelo, erano rimasti ebrei. Per l’avvocato e uomo politico Giovanni Vicini (1771-1845) anche i due fratelli ebrei dovevano ereditare, ma questa sua presa di posizioni scatenò violente reazioni da parte di altri giuristi, tra cui Vincenzo Berni degli Antonj, che sosteneva che gli ebrei dello Stato pontificio non avevano alcun diritto e che andavano considerati schiavi tollerati.

 

Vincenzo Berni degli Antonj, Osservazioni al voto consultivo del signor avvocato Giovanni Vicini nella causa di simultanea successione di cristiani, e di ebrei…,
Bologna, dai tipi del Nobili e Comp., 1827.
6.F.F.III.31, op. 2.

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Al termine del suo scritto che contesta la presa di posizione di Giovanni Vicini sul caso dell’eredità dell’ebreo convertito Giuseppe Levi, l’avvocato Berni ribadisce che gli ebrei non hanno alcun diritto di ereditare i beni di un congiunto cristiano. Lo scritto di Berni testimonia con chiarezza l’acceso antisemitismo diffuso all’epoca nello Stato pontificio.

Francesco Gualandi, Dubbj sulle osservazioni del chiariss. sig. cav. avvocato Vincenzo Berni degli Antonj al voto consultivo del chiariss. sig. avvocato Giovanni Vicini nella quistione di simultanea successione di cristiani e di ebrei all’intestata eredita di un loro congiunto dell’avvocato Francesco Gualandi,
Bologna, presso Turchi, Veroli e comp., 1827.
6.F.F.III.31, op. 3.

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L’avvocato Francesco Gualandi interviene nel dibattito sull’eredità dell’ebreo convertito Giuseppe Levi, sostenendo con nuove motivazioni la posizione di Giovanni Vicini.

Vincenzo Berni degli Antonj, Risposta dell’avvocato Vincenzo Berni degli Antonij… dedicata all’eminentissimo e reverendissimo principe il signor cardinale Giuseppe Albani legato di Bologna ai dubbj eccitati dal signor avvocato Francesco Gualandi…,
Bologna, dai tipi del Nobili e comp., 1827.
6.F.F.III.31, op. 4.

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L’avvocato Vincenzo Berni degli Antonj ritorna sul tema dell’eredità di Giuseppe Levi, contestando le posizioni dell’avvocato Francesco Gualandi, che era intervenuto a sostegno delle tesi di Giovanni Vicini. Per Berni gli ebrei che vivono nello Stato pontificio sono senza diritti in quanto schiavi tollerati, una schiavitù a cui la loro perfidia li tiene tenacemente incapestrati.

 

Antonio Battistella, Il S. Officio e la riforma religiosa di Bologna,
Bologna, Zanichelli, 1905.
17. A.II.64.

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L’autore ricostruisce le vicende del S. Officio a Bologna dalle origini (verso la metà del XIII secolo) fino alla fine del XVIII, quando l’arrivo delle truppe francesi pone fine alla sua attività. Non tratta invece dell’attività dell’Inquisizione nel secolo successivo, dalla Restaurazione all’abolizione decretata da Luigi Carlo Farini nel novembre del 1859: per quanto riguarda questo ultimo periodo, le informazioni sul funzionamento dell’Inquisizione sono pochissime. Molto interessanti sono i capitoli III-VI (p. 28-88), dedicati all’organizzazione dell’Inquisizione (sedi, risorse economiche, personale etc.) e alle procedure con cui operava. La maggior parte delle carte prodotte dall’Inquisizione bolognese fino al 1797 sono attualmente conservate presso la Biblioteca dell’Archiginnasio e comprendono la documentazione più antica. Tra queste si segnalano le raccolte di documenti descritte nel v. LXXIX degli Inventari dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia, alle p. 93-103.