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«La favola pastorale, o più largamente boschereccia
e campestre, segna l'ultimo sforzo dell'artistica vitalità
e il grado supremo della composizione a cui pervenne tra noi nel
declinare del secolo decimosesto la poesia bucolica degli antichi,
serbataci dal medioevo e poi rinnovata nella letteratura del Rinascimento.
Dall'idillio e dall'ecloga ella prese la scena i personaggi il costume,
dal dramma pur antico le forme all'atteggiamento delle passioni
e allo svolgimento dell'azione, nell'azione e nell'espressione tenendo
a mescolare temporaneamente il patetico ed il giocondo [
].
Rappresentata, in principio, per feste o per nozze di signori agli
Estensi, ai Della Rovere, ai Gonzaga, ai Medici, ai Savoia, nei
nobili palazzi, nelle ville e nelle reggie [
]. Nell'azione
ci deve essere ciò che gli aristotelici chiamavano rivolgimento
della fortuna, prima di buona in rea che induce negli spettatori
il terrore e ingenera il travaglio tragico, poi nuovamente di rea
in buona, sí che il lieto fine consoli poi le agitate sensazioni
con la giocondezza. Ma eterno e immortale motivo della favola pastorale
è l'amore...» (G. Carducci, L'Aminta e la vecchia
favola pastorale, in Edizione Nazionale delle
Opere, Bologna, Zanichelli, 1936, vol. XIV).
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