Le parole contano

Le parole contano: nel raccontare il “caso Mortara” le parole contano moltissimo, perché dalla scelta di una parola o di un verbo si può intuire quasi sempre l’opinione di chi scrive sulla vicenda di Edgardo Mortara, il bambino ebreo battezzato all’insaputa dei genitori da una domestica cattolica e per questo tolto alla famiglia per essere condotto alla Casa dei catecumeni di Roma.
Chi ritiene che papa Pio IX abbia commesso un grave abuso nell’ordinare la separazione forzata di Edgardo dalla famiglia, usa in genere il verbo rapire, cioè portare via con la forza e i termini rapimento e ratto, con una evidente accezione negativa: così Daniele Scalise titola il suo libro Il caso Mortara. La vera storia del bambino ebreo rapito dal Papa, del 1997, e David Kertzer, in uno dei testi più noti sul “caso Mortara”, dal titolo Prigioniero del Papa Re, uscito nel 1996, mette sulla coperta il sottotitolo Storia di Edgardo Mortara, rapito all’età di sei anni da Santa Romana Chiesa nella Bologna del 1858. L’anno dopo, nel 1997, l’edizione in inglese ha un titolo ancora più esplicito: The kidnapping of Edgardo Mortara.
Nella prima importante ricostruzione del “caso Mortara”, scritta da Gemma Volli nel 1960, Edgardo fu strappato alla sua famiglia, e anche in questo caso ci si trova evidentemente di fronte ad una autrice che non approva l’operato di Pio IX.
Ci si può meravigliare allora che Vittorio Messori, uno dei più strenui sostenitori della posizione a favore della necessità di allontanare Edgardo dalla famiglia per assicurargli una educazione cattolica, abbia intitolato il suo libro uscito nel 2005 «Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX», pubblicando un memoriale inedito di padre Pio Maria Mortara, il nome cattolico che si era dato Edgardo.
In realtà, dato il contenuto delle memorie di padre Mortara, incentrate sulla strenua difesa dell’operato di Pio IX, il salvatore della sua anima altrimenti perduta, il titolo scelto da Messori e posto tra virgolette come se fosse una citazione, sembra voler evidenziare il contrasto tra le tante accuse fatte a Pio IX di aver rapito il bambino, e la testimonianza dello stesso Edgardo che considera quel “rapimento” il frutto della divina provvidenza: quella di Messori pare una sorta di provocazione, dunque, che sembra rispondere in modo sarcastico ai titoli dei libri di Kertzer e di Scalise.
Ancora diverso è l’uso del verbo rapire utilizzato per il titolo di un articolo sul “caso Mortara” apparso il 30 settembre 1979 su «Famiglia cristiana», a firma di Mariagrazia Cucco: Quel piccolo ebreo “rapito” un secolo fa. L’autrice racconta la vicenda in modo equilibrato, offrendo più punti di vista e intervistando anche Alberto Mortara, nipote di Edgardo, che aveva scritto una lettera di protesta per un precedente articolo della rivista sul tema, e dunque l’uso di “rapito” posto tra virgolette nel titolo pare voler mediare tra le due posizioni contrapposte, concedendo ad ognuna una parte di legittimità.

Chi ha sostenuto l’azione del Papa nel “caso Mortara” ha in genere cercato di utilizzare, per quanto possibile, trattandosi comunque di un bambino che viene diviso dai genitori, espressioni con un basso impatto emotivo per descrivere il momento in cui Edgardo viene portato via dalla sua casa.
Così mons. Alberto Canestri, nel suo L’anima di Pio IX, v. III, 1966, a p. 43 scrive: Il fanciullo il 24 giugno 1858 venne tolto ai genitori, e anche Louis Veuillot, in Vita di S.S. Pio IX, stampato a Bologna nel 1863, scrive: …un fanciullo nato giudeo venne tolto dalla casa paterna; lo stesso anche nell’Enciclopedia cattolica, alla voce Mortara, Pio Edgardo: …fosse tolto ai genitori ed educato nella religione cattolica; da notare anche che l’Enciclopedia cattolica sceglie di intestare la voce al nome assunto da Edgardo da religioso, Pio, in onore di Pio IX.
In alcuni casi prevale invece la scelta di glissare sul momento più drammatico del “caso Mortara”, il distacco di Edgardo dalla famiglia, con frasi più generiche che evitano di entrare nei dettagli dell’episodio più suscettibile di critiche e attacchi da parte degli oppositori dell’operato della Chiesa. Così sulla «Gazzetta di Bologna» del 10 novembre 1858 si scrive:
…costrinse [la scoperta del battesimo segreto di Edgardo] come vogliono i canoni, l’Ecclesiastica autorità ad assumere cura di quel bambino.
In uno degli articoli più importanti sul “caso Mortara” apparso alla fine del 1858 su «La Civiltà cattolica», Il piccolo neofito  Edgardo Mortara, si legge invece, a proposito del momento del distacco di Edgardo dai genitori: …per quale discreto modo la cosa si effettuasse non è qui il luogo di descrivere.
Le parole contano, ma anche le parole non dette hanno il loro peso.