Arrivare nelle Americhe

Asta di schiavi in Virginia
George Henry Andrews, Slave Auctions in Richmond, Virginia, in «The Illustrated London News», vol. 38, Feb. 16, 1861, p.139
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Gli africani sopravvissuti alla traversata atlantica venivano sbarcati nei porti delle Americhe. Gli studiosi hanno identificato 179 porti in totale, ma la maggior parte degli schiavi (circa 8 milioni) finirono in soli 20 porti tra i quali: Rio de Janeiro in Brasile, Kingston in Giamaica, Cap Français nell’attuale Haiti, l’Avana a Cuba, Charleston nella Carolina del Sud.

Vendita di schiavi africani all’Avana, Cuba, 1837
Arthur Thomas Quiller-Couch, ed., The Story of the Sea, London, 1895-96, vol. 2, p. 440
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Al momento dello sbarco nei porti americani i prigionieri africani venivano preparati per la vendita: lavati, rasati e spalmati di olio di palma per nascondere le eventuali ferite causate dal viaggio. In genere erano immediatamente venduti ai proprietari di piantagioni o ai commercianti intermediari attraverso delle aste pubbliche o tramite vendite dirette.

I corpi e i denti degli africani incatenati erano esaminati dai potenziali acquirenti alla stessa stregua di capi di bestiame per accertarsi delle loro capacità fisiche e della loro buona salute. Nei primi secoli della tratta, i giovani maschi erano generalmente preferiti alle donne perché considerati più forti e produttivi. Nel tempo, tuttavia, il numero di donne cominciò ad aumentare per il loro valore come riproduttrici di forza lavoro oltre che come lavoratrici.

Dai porti si innervavano sistemi molto ramificati di rotte schiavistiche, costituite da vie e fiumi che permettevano di trasportare gli schiavi verso piantagioni, miniere e città. L’arrivo quindi era quasi sempre solo l’inizio di un nuovo viaggio di centinaia di chilometri che penetrava il continente sudamericano sino alla Bolivia o all’Ecuador, saltava di isola in isola nei Caraibi, o da una piantagione all’altra in Giamaica, a Cuba o nel Sud degli Stati Uniti.

Mercato degli schiavi, Rio de Janeiro, Brasile, anni 1820
Maria Graham, Journal of a voyage to Brazil and residence there, during part of the years 1821, 1822, 1823, London, 1824, Library of Congress, Prints and Photographs Division, LC-USZ62-97201
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 Olaudah Equiano racconta il suo arrivo a Barbados:
«Finalmente arrivammo in vista dell’isola di Barbados (…) Molti mercanti e piantatori salirono a bordo, benché fosse sera. Ci suddivisero in gruppi e ci esaminarono attentamente. Ci fecero anche saltare e indicarono la terra per farci capire che saremmo andati là, e in quel momento pensammo che saremmo stati mangiati da quegli uomini brutti, perché è così che li vedevamo (…)
(dopo essere sbarcati) fummo immediatamente condotti nel cortile del mercante, dove ci ammassarono come pecore in uno stabbio senza badare a sesso o età (…).
Dopo qualche giorno in custodia del mercante, fummo venduti alla solita maniera, vale a dire: a un segnale dato (ad esempio un colpo di tamburo), i compratori si precipitano tutti insieme nel cortile dove sono tenuti gli schiavi e scelgono quelli che preferiscono».
L’incredibile storia di Olaudah Equiano, o Gustavus Vassa, detto l’Africano, Epoché, 2008, p. 46

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