Il Middle Passage – Verso le Americhe

Il Middle Passage, o “passaggio di mezzo”, era uno dei lati delle rotte del commercio triangolare. Indicava il viaggio forzato di africani e africane schiavizzati attraverso l’Oceano Atlantico.

La nave schiavista – Prigione e fortezza galleggiante

Ciascuna nave trasportava diverse centinaia di schiavi e schiave. Gli uomini venivano ammassati e tenuti sotto coperta in spazi estremamente ristretti, per sfruttare al massimo la capienza della nave e aumentare i profitti dalla vendita degli schiavi. Donne e bambini erano generalmente tenuti sul ponte della nave, in spazi separati dagli uomini.

«Nudi, incatenati, con i collari d’acciaio serrati sotto il pomo d’Adamo, il marchio sulla spalla, gli occhi folli che si agitavano, pieni di ribellione e sconcerto nel trovarsi su quella gigantesca costruzione di un altro mondo, i pugni stretti mentre i piedi incatenati faticavano a trovare un equilibrio precario. Le sentinelle li avevano disposti in fila, a due a due, affinché si procedesse all’oltraggiosa ispezione della loro anatomia.»
Wilfried N’Sondé, Un oceano, due mari, tre continenti, Roma: 66thand2nd, 2020.

 

Il racconto di Olaudah Equiano del suo arrivo sulla nave schiavista
«Le prime cose che si presentarono ai miei occhi quando arrivai alla costa furono il mare e una nave negriera, che era alla fonda in attesa del suo carico. Ciò mi riempì di uno stupore che ben presto si tramutò in terrore quando fui condotto a bordo. (…)
Quando sulla nave mi guardai attorno e vidi una grande fornace o un calderone in ebollizione, una moltitudine di negri di ogni sorta incatenati assieme e sul viso di ognuno un’espressione di scoramento e dolore, non ebbi più alcun dubbio circa la mia sorte e del tutto sopraffatto dalla paura e dall’angoscia mi accasciai sul ponte e svenni.»
Olaudah Equiano, L’incredibile storia di Olaudah Equiano, o Gustavus Vassa, detto l’Africano, Milano: Epoché, 2008, p. 40

Le malattie associate al cibo inadeguato e alle dure condizioni di detenzione erano all’ordine del giorno, e costituivano la principale causa di morte tra gli schiavi e tra i marinai. Dissenteria, malaria, febbre gialla, vaiolo, morbillo, influenza, disidratazione, decimavano il “carico umano” di schiavi. I cadaveri degli schiavi venivano buttati a mare.
Si calcola che circa 1,8 milioni di esseri umani siano morti durante la traversata dell’Oceano Atlantico.

Nave schiavista
Dipinto di Johann Moritz Rugendas, 1830
Museo Itaú Cultural, San Paolo del Brasile
Wikimedia Commons
Violenza e potere

Il capitano della nave esercitava un potere assoluto sulla ciurma e sul carico di uomini e donne schiavizzati. Violenza e terrore erano le armi a disposizione del capitano per mantenere ordine e disciplina, evitare l’ammutinamento dei marinai sfruttati e malpagati e le ribellioni dei prigionieri. Il controllo degli schiavi africani era garantito da mezzi di detenzione e repressione che rendevano la nave schiavista una “prigione galleggiante”.

Con il pretesto di far prendere aria e praticare esercizio fisico, schiavi e schiave erano costretti a ballare sul ponte della nave. Molti si rifiutavano di farlo o lo facevano controvoglia. Atteggiamenti e comportamenti che, come il rifiuto di mangiare, erano regolarmente puniti dal capitano con la frusta.

Resistenza e ribellioni

Nonostante la nave schiavista funzionasse come un “microcosmo concentrazionario”, gli africani e le africane in cattività perseguirono varie forme di resistenza passiva e attiva.

Frequenti erano i tentativi di suicidio di uomini e donne che gettandosi in mare si rifiutavano di essere trattati come una “merce”. Gli episodi erano così numerosi che le navi furono dotate di sistemi di reti lungo le fiancate per impedire agli schiavi di scavalcarle e gettarsi in mare.

Centinaia, se non migliaia, furono i tentativi di insurrezione per impadronirsi della nave, che spesso fallivano a causa della superiorità militare dell’equipaggio.

 

Isaac Cruikshank, The Abolition of the Slave Trade, 1792, Library of Congress, Prints and Photographs Division, British Cartoon Collection, LC-USZ62-6204
Slavery Images

L’illustrazione a fianco mostra John Kimber, capitano della nave Recovery in rotta tra l’attuale Nigeria e le Indie occidentali nel 1791, con una frusta in mano e una ragazza africana sospesa in aria a testa in giù. La storia della ragazza senza nome, ammalata e frustata a morte per aver rifiutato di danzare e mangiare, fu denunciata al Parlamento britannico dal deputato abolizionista William Wilberforce e divenne un caso di grande risonanza. L’illustrazione del famoso caricaturista scozzese Isaac Cruikshank ebbe una grandissima circolazione contribuendo in modo decisivo alla diffusione del sostegno alla causa abolizionista.

 

Africani gettati in mare da una nave schiavista, Brasile, ca. 1830
Charles Van Tenac, ed., Histoire Générale de la Marine Comprenant les Voyages Autour du Monde, Paris, 1847-48, vol. 4
Slavery Images
Zong

Il terrore imposto dal capitano giungeva talvolta all’assassinio di massa degli schiavi. Un caso di massacro fu nel 1781 quello della nave Zong, capitanata da Luke Collingwood.
Con il pretesto della scarsità di acqua potabile, il comandante della nave decise di disfarsi di una parte degli schiavi a bordo, legando e facendo gettare in mare 122 individui; altri 10 si suicidarono buttandosi a mare in preda al terrore.
Quello della Zong non fu un caso isolato. Gettare a mare parte degli schiavi per ragioni di convenienza non era infrequente, come mostra la xilografia accanto che illustra l’annegamento nel porto di Rio de Janeiro di schiavi ammalati che sarebbero rimasti invenduti e sui quali i proprietari avrebbero dovuto pagare dazi d’importazione.

Il leader dell’insurrezione dell’Amistad Sengbe Pieh (Joseph Cinqué)
Nathaniel Jocelyn, 1840. New Haven Colony Historical Society
Slavery Images
Amistad

Una delle rivolte più famose e di successo, fu quella della nave spagnola Amistad. La notte del 30 giugno 1839, 53 schiavi provenienti dall’Africa occidentale, guidati da Sengbe Pieh (che poi divenne noto negli Stati Uniti come Joseph Cinqué), uccisero il capitano e il cuoco di bordo e costrinsero l’equipaggio a deviare la rotta verso il Connecticut, stato non schiavista, dove furono catturati e sottoposti a processo. Grazie a una vigorosa campagna abolizionista a loro sostegno furono scagionati, in quanto considerati vittime di un sequestro, e rinviati in Sierra Leone.

 

 

 

 

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