La tratta schiavistica ha avuto effetti di breve e lunga durata sull’Africa, sull’Europa e sulle Americhe.
Le società africane furono profondamente destrutturate dal commercio degli schiavi. Sul piano politico, la tratta provocò grande instabilità con l’aumento delle divisioni sociali, la crescita dei conflitti armati, della violenza e della prevaricazione.
Aristocrazie ed élite africane soddisfecero la richiesta europea di schiavi razziando e depredando società vicine più deboli. L’introduzione su vasta scala di armi da fuoco europee, ottenute in cambio della vendita di schiavi, permise ad alcuni regni – come quello del Dahomey o quello Asante – di rafforzarsi ed espandere la propria influenza.
Sul piano demografico la tratta determinò fenomeni di spopolamento in vaste aree del continente. I molti milioni di esseri umani forzati a lasciare l’Africa erano costituiti in prevalenza da giovani uomini e donne in età riproduttiva, gli elementi più sani e più forti delle popolazioni locali, che avrebbero potuto costituire nuove famiglie e quindi contribuire allo sviluppo demografico, sociale ed economico del continente. A ciò si deve aggiungere il numero incalcolabile di perdite umane nelle razzie, nei viaggi verso la costa e durante la traversata atlantica.
Sul piano economico il declino della popolazione coniugato a guerra e razzie ebbe un impatto negativo sullo sviluppo agricolo e produttivo. Inserirsi nei circuiti globali dello schiavismo garantiva a regni e potentati africani arricchimento e potere a scapito dei processi di sviluppo locale e della coesione sociale. La soddisfazione dei bisogni interni divenne secondaria rispetto alla domanda internazionale di esseri umani schiavizzati.
L’invenzione della razza
Uno degli effetti più potenti, distruttivi e persistenti della tratta schiavistica si è tradotto nella stretta associazione dei termini schiavo e nero. Per secoli la schiavitù aveva riguardato prevalentemente popolazioni bianche e la stessa nozione di bianco contrapposto a nero non costituiva una fonte identitaria significativa.
Il concetto di razza – che pretende di descrivere, differenziare e gerarchizzare i gruppi umani sulla base di caratteristiche fisiche come il colore della pelle – si affermò come conseguenza della tratta schiavistica e dell’espansione coloniale europea. Dal continuo confronto con “l’altro”, gli europei cominciarono a costruire nuove categorie identitarie sulla base di caratteristiche fisiche e culturali, tra le quali le più potenti furono il concetto di razza e l’opposizione bianco/nero. Nell’ambito di queste costruzioni l’essere schiavo divenne indissolubilmente legato all’essere nero.
Lungi dal rappresentare differenze biologicamente determinate, totalmente smentite dalla scienza contemporanea, la nozione di razza fu il prodotto di uno sviluppo storico che, nella seconda metà del Settecento, si servì della rivoluzione scientifica per fornire una presunta oggettività a una classificazione che ben presto dal colore della pelle si allargò a includere caratteristiche morali, intellettive, psicologiche ed emotive.
Su queste basi si costruì un ordine sociale che organizzava le “razze” all’interno di uno schema gerarchico, che presupponeva la naturale superiorità della razza bianca, e quindi la giustificazione della sua supremazia e del suo dominio, e l’innata inferiorità dei neri e in generale dei non-bianchi.
Costruitosi progressivamente nello spazio atlantico dell’età moderna, l’ordine razziale è diventato un ordine globale, che organizza ancora oggi le relazioni sociali, economiche, culturali e di lavoro.
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