Nonostante gli africani fossero impiegati in diversi settori lavorativi (dalla costruzione di strade ai lavori domestici alle miniere) la stragrande maggioranza fu utilizzata nell’agricoltura di piantagione.
Generalmente di grandi dimensioni, le piantagioni americane erano specializzate nella coltivazione di un solo prodotto (canna da zucchero, cotone, caffè, cacao, indaco, riso, tabacco, mais) e necessitavano di ingenti quantità di forza lavoro.
Le società imperniate sul sistema di piantagione erano polarizzate e gerarchizzate: dipendenti politicamente da autorità coloniali, erano dominate da una élite di piantatori europei e in misura minore di origini miste (popolazioni creole), che controllava con un elevato grado di violenza un’ampia popolazione schiavizzata e sradicata dai luoghi di origine.
Codici e legislazioni coloniali furono introdotti per legittimare e istituzionalizzare la razzializzazione delle relazioni sociali e sostenere lo sviluppo delle piantagioni.
La canna da zucchero
Quasi la metà degli schiavi importati nel corso dei secoli fu destinata alle piantagioni di canna da zucchero in Brasile, Caraibi e Stati Uniti.
In particolare nelle isole Antille la piantagione di canna da zucchero comprendeva tutte e tre le fasi della produzione: coltivazione della terra, trasformazione dei prodotti, trasporto e vendita ai commercianti europei.
La piantagione operava sulla base di una complessa divisione del lavoro. Nei campi, gli schiavi lavoravano per molte ore al giorno per piantare, coltivare, tagliare e raccogliere la canna. Dovevano quindi trasportare la canna a un mulino, azionato da acqua o forza animale, dove il succo era estratto e trasformato in melassa, zucchero e rum.
Altri schiavi svolgevano lavori specializzati, come ad esempio falegnami, fabbri e muratori.
Le piantagioni impiegavano anche un alto numero di lavoratori domestici, mentre altri erano destinati alla coltivazione del cibo necessario a nutrire la popolazione della piantagione. Anche il lavoro dei bambini era largamente utilizzato sia nei campi sia in attività di tipo domestico.
Cotton belt/Black belt
Nel novembre 1785 arrivarono nel porto di Liverpool le prime sette balle di cotone di produzione nordamericana. Nel giro di pochi decenni il cotone del Sud degli Stati Uniti conoscerà una crescita astronomica grazie a due principali fattori:
1. la scoperta di una varietà di cotone resistente e particolarmente adatta a essere lavorata dalla sgranatrice meccanica, la cotton gin, impiegata per separare le fibre del cotone dal resto della pianta
2. l’espansione territoriale del Sud grazie all’acquisizione di nuove terre da parte degli agricoltori bianchi, resa possibile dall’espulsione forzata delle popolazioni native con l’Indian Removal Act (1830).
Alla fine degli anni Trenta dell’Ottocento, il cotone era diventato la principale coltura non solo del Sud ma di tutti gli Stati Uniti e più della metà dell’export statunitense era ormai costituita dal cotone.
Il lavoro degli schiavi era essenziale per la crescita della produzione cotoniera del Sud. Cotone e schiavitù diventarono inseparabili e crebbero di pari passo.
L’importanza economica della schiavitù è evidenziata dal prezzo degli schiavi stessi. Negli anni Quaranta e Cinquanta dell’Ottocento il prezzo degli schiavi raddoppiò rispetto al decennio precedente, seguendo l’andamento dei prezzi del cotone.
“Schiavi e cotone, cotone e schiavi; sono questi la legge e i profeti degli uomini del Sud.”
James Stirling, Letters from the Slaves States, London, Parker, 1857, pp. 179–180
“Vendere cotone per comprare negri, coltivare più cotone per comprare più negri, ad infinitum, questo è lo scopo di tutte le operazioni del vero piantatore di cotone; la sua intera anima è dedicata a questa impresa.”
Joseph Holt Ingraham, The Southwest by a Yankee, New York, Harper, 1835, Vol. 2, p. 91.
Un giorno di lavoro in una piantagione di cotone in Louisiana
«I braccianti devono trovarsi sui campi alle prime luci dell’alba e, con l’eccezione di dieci o quindici minuti concessi loro a mezzogiorno per trangugiare una razione di pancetta fredda, non possono oziare un solo istante fino a che l’oscurità non consente più di vedere, e se c’è la luna piena spesso sono costretti a faticare fino a notte. Non osano fermarsi nemmeno all’ora di cena, né fare ritorno ai loro alloggi, per quanto sia tardi, finché non arriva l’ordine del sorvegliante.
Finita la giornata, le ceste vanno “cumulate” o, in altre parole, portate nella sala per la sgranatura, per pesare il cotone. Per quanto sia sfiancato ed esausto, per quanto desideri dormire e riposare, quando lo schiavo raggiunge la sala per la sgranatura è sempre in preda al terrore. Se il raccolto è inferiore a quello assegnatogli, sa che dovrà soffrire. E se l’ha superato di dieci o venti libbre, con tutta probabilità il padrone si aspetterà lo stesso risultato per il raccolto del giorno seguente.»
Solomon Northrup, 12 anni schiavo, Garzanti, 2014 pp. 143-144