Cattura e viaggio verso la costa

William Adjété Wilson, Gli schiavisti (Les négriers)
Arazzo con applicazioni in cotone policromo, cm 175×105, made in Abomey, Benin, 2007-2009
L’Océan Noir di William Adjété Wilson
Per gentile concessione dell’autore

Il commercio degli schiavi si basava sulla cooperazione tra commercianti europei e autorità politiche africane. Gli europei si stanziavano nei forti lungo la costa dove attendevano l’arrivo degli schiavi. Della cattura e del trasporto fino alla costa si occupavano agenti e commercianti africani al servizio dei regni dell’interno, che grazie alla partecipazione al commercio degli schiavi costruirono potere politico e accumularono enormi ricchezze.
I prigionieri venivano trasportati sulla costa via terra o lungo i fiumi, in viaggi che potevano durare anche diversi mesi. È stato calcolato che circa il 10 per cento degli schiavi perdeva la vita durante la marcia verso la costa a causa di malattie e maltrattamenti.

Le società africane regolavano in maniera precisa chi poteva e chi non poteva essere reso schiavo. Generalmente gli schiavi erano vittime di razzie e prigionieri catturati nelle guerre tra popoli africani, anche se in alcuni casi poteva succedere che i re vendessero anche i propri sudditi. Questa pratica causò tuttavia una serie di ribellioni popolari, come nel caso della “guerra dei marabutti”, maestri e predicatori musulmani itineranti, in Senegambia. Uno di loro, Nasir al-Din, guidò una ribellione negli anni Settanta del Seicento, che portò alla destituzione del re del Futa Toro, una regione vicina al fiume Senegal, accusato dai marabutti di vendere i suoi sudditi ai commercianti di schiavi europei.

 

Schiavi africani venduti ai francesi, 1858
The National Archives, London, FO 84/1070
Slavery Images

 

“poi l’uomo bianco ci ha guardato tanto. Ha guardato tanto la pelle, i piedi e le gambe e la bocca. E poi ha scelto.”
Cudjoe Lewis

 

Barracoon sulla costa di Loango-Kwanza nord, Angola
E.J. Glave, The Slave-Trade in the Congo Basin, in «The Century Illustrated Monthly Magazine», 1889-1890, vol. 39, pp. 824-838
Slavery Images

 

Gli africani catturati erano portati in “magazzini” di schiavi lungo la costa, ovvero strutture come forti, costruzioni commerciali, barracoon (baraccamenti), costruite e controllate dai commercianti europei.

Portoghesi, inglesi, olandesi, francesi, danesi costruirono decine di forti lungo le coste dell’Africa atlantica, con l’obiettivo di stabilire aree di monopolio sul traffico schiavistico e affermare la propria supremazia nei confronti delle potenze concorrenti.

Gli schiavi arrivati sulla costa erano esaminati e se considerati idonei venivano acquistati dalle compagnie commerciali e dai capitani europei. Erano quindi marchiati a fuoco con le iniziali del mercante proprietario della nave sia per sancirne l’acquisto sia per evitare che venissero scambiati con altri individui ritenuti di “qualità” inferiore.

Gli schiavi acquistati erano quindi tenuti nei forti o nei barracoon finché le navi schiaviste al largo della costa non erano pronte per partire e trasportarli al di là dell’Atlantico.

 

 

Il racconto di Cudjoe Lewis

«Ci hanno fatto camminare verso esoku (il mare). (…) lì ci hanno messo in un barracoon (…)
Cudjo ha visto dei bianchi ed era una cosa che non aveva mai visto prima. A Takkoi avevamo sentito parlare dell’uomo bianco, ma da noi non ci venivano.
(…) Dopo tre settimane che stavamo lì, nella capanna è venuto un bianco insieme ad altri due uomini che invece erano del Dahomey. Uno era un capo del Dahomey e l’altro era il suo trasforma-parole. (…) Poi l’uomo bianco ci ha guardato tanto. Ha guardato tanto la pelle, i piedi e le gambe e la bocca. E poi ha scelto. Ogni volta che sceglieva un uomo sceglieva pure una donna. Ogni volta che sceglieva una donna sceglieva pure un uomo.»
Da Zora Neale Hurston, Barracoon, 66thand2nd, Roma, 2019, pp. 74-75.

 

Cudjoe Lewis, c. 1914
Foto di Emma L. Roche, 1914
Historic Sketches of the South, New York, Knickerbocker Press, 1914
Wikimedia Commons

Cudjoe Lewis, alias Oluale Kossola, all’epoca della raccolta della sua testimonianza era considerato l’ultimo schiavo ancora vivente negli Stati Uniti. Catturato nella regione del Regno del Dahomey, nel moderno Benin, arrivò in America nel 1859 a bordo dell’ultima nave schiavista, la Clotilda. La nave fu fatta naufragare e incendiata per nascondere le prove del commercio illegale.

 

 

 

 

 

 

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