Giovanni Morone, una “preda” ambita dall’Inquisizione

Consilia et Vota in materia S. Officij
[manoscritto cartaceo, secoli XV-XVI]
Collocazione: ms. B. 1859, cc. 35r-88v.

SFOGLIA IL MANOSCRITTO

Sotto i colpi del domenicano, nuovo maglio della Cristianità, cade il macigno più grande: Morone, vescovo di Modena, membro della Congregazione del Sant’Uffizio, fidato consigliere di Reginald Pole, una figura inattaccabile fino a pochi mesi fa.
Tutti gli inquisiti da oggi in poi dovranno difendersi. E tutti gli altri temere. La caduta di simili teste avverte che nessuno è più al sicuro. Chiunque sia stato sfiorato dal veleno del Beneficio di Cristo non ne uscirà illeso.

Il diario di Q. Venezia, 25 giugno 1551

Il cardinale Giovanni Morone viene processato per eresia nel 1557 per volere di papa Paolo IV Carafa. Fra le accuse, quella di avere stampato e diffuso copie del Beneficio nella sua diocesi, Modena. Il processo è molto duro ma non viene emessa una condanna definitiva e il Morone viene scarcerato nel 1559, alla morte di Carafa. Michele Ghislieri, uno degli inquisitori più intransigenti, salito al soglio pontificio col nome di Pio V nel 1565, cerca di riaprire il processo a Morone per ottenere la condanna che non si era avuta anni prima. Nel 1569-70 vengono posti a undici giureconsulti e teologi bolognesi quattro quesiti, il primo dei quali recita: «an abbas censeatur credens haeresibus contentis in libro nuncupato Il beneficio di Cristo» (si vedano le prime righe). Si chiede cioè «se si po[ssa] dedurre che l’abate [il nome di Morone non viene mai esplicitato, n.d.r.] creda nelle eresie contenute nel libro chiamato Il beneficio di Cristo». Dopo quasi 30 anni e la pressoché totale eliminazione del libretto, il Beneficio è ancora motivo di accusa di eresia e arma per colpire i “nemici della fede”.
Il manoscritto esposto contiene un documento che raccoglie i pareri originali degli undici personaggi interpellati. Sicuramente una copia venne inviata a Roma ma non se ne ha traccia. Caponetto, nella sua edizione del Beneficio, ritiene erroneamente che questo documento risalga al 1549 e che l’abate imputato sia Luciano degli Ottoni. Questo documento è stato pubblicato in: M. Firpo – D. Marcatto, Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone. Vol. III: La sentenza. Appendici, Roma, Libreria Editrice Vaticana, 2015, p. 626-712. Sul tentativo di istruire un nuovo processo contro Morone si veda anche: G. Caravale, Il Beneficio di Cristo e l’Inquisizione romana: un caso di censure tardive, in Cinquant’anni di storiografia italiana sulla Riforma e i movimenti ereticali in Italia 1950-2000, a cura di S. Peyronel, Torino, Claudiana, 2002, p. 151-174.